domenica 29 settembre 2013

IL NUBIFRAGIO

Tratto da: Una nuova vita di Milos Fabbri
 
IL NUBIFRAGIO


La goccia che lo fece traboccare fu l'alluvione, Genova fu invasa dall'acqua proprio mentre lui si stava accomodando a tavola, la moglie era già seduta da circa cinque anni, non poteva più camminare in seguito ad un incidente; era stata investita da un auto che nemmeno si fermò per soccorrerla, e questo le costò la paralisi. Aveva anche una serie di altri problemi più lievi, ma di sicuro l'animo era quello che più del corpo aveva perso vitalità.
Santo Guglielmino era ottantenne e proprio tre giorni addietro c'era stata la ricorrenza dei sessantasei anni di matrimonio con Giuseppa Lo Bianco che ne aveva due in meno del marito ed era originaria di Catania.
Guardavano entrambi fuori dalla finestra, pioveva, pioveva che Dio la mandava, ed entrambi pensavano la stessa cosa, si scambiavano ben poche parole ma si capivano, avevano trascorso la vita insieme, si conoscevano dall'età dell'adolescenza; da quando in seguito, Guglielmino la passava a prendere al mulino in lambretta e lei ci saliva compiaciuta sedendosi con entrambe le gambe sul lato destro, così, tanto per non far ancora alzare la gonna.
Pensavano al torrente Fereggiano che scorreva poco lontano dalla loro abitazione, al loro quartiere Marassi che nulla avrebbe potuto fare a quell'inondazione.
Posò tre polpette sul piatto della moglie, poi ne accomodò altrettante sul suo ed infine ripassò con il sugo. Si versò mezzo bicchiere di vino rosso e lo allungò con l'acqua. La moglie ora lo guardava, era stanca, stanca di una vita che non le aveva offerto altro che sofferenza; sesta di nove figli, non aveva potuto studiare e nemmeno giocare, a quell'età, quando gli altri bambini giocavano e andavano a scuola, lei faceva pascolare le pecore. Giuseppa di sogni ne aveva tanti come tutte le bambine di sei anni ma non li avrebbe mai visti realizzati. Nemmeno quando incontrò quell'uomo che la prese e la portò via dalla campagna, sposandola; anche allora la sua vita rimase misera.

sabato 28 settembre 2013

Italo Calvino

Scrivere andando a serie: Italo Calvino.
Articolo di: Emanuela Bruco - Letteratu.it

Scritto il 26 settembre 2013

Se Italo Calvino fosse ancora qui, criticherebbe aspramente tutti quelli che, come me, si sono cimentati nel regalare all’universo mondo della letteratura una sua biografia. Come Croce, infatti, Calvino credeva che i dati biografici non fossero importanti per la carriera di uno scrittore, ma piuttosto sperava che lettori e critici guardassero solo ed esclusivamente alle sue opere. Per questa semplice ragione, in una lettera a Germana Pescio Bottino, affermò senza troppe cerimonie che i dati personali che dava -se li dava- o erano falsi oppure cercava di cambiarli di volta in volta. Se Italo Calvino fosse ancora qui, verrebbe attanagliato da un’ansia nevrotica al vedere la propria vita fissata e oggettivata in uno strumento di tortura quale è la biografia.

venerdì 27 settembre 2013

Libreria Colacchi

Da oggi è disponibile alla libreria Colacchi - presso il centro commerciale Amiternum - dell'Aquila, il libro di Milos Fabbri, Una nuova vita.

martedì 24 settembre 2013

UNA NUOVA VITA

 UNA NUOVA VITA       MILOS FABBRI



Lo senti l'odore della terra sulle mani, lo senti il contatto d'un bacio sulla tua guancia, il freddo fin dentro le ossa, la stanchezza del viaggio, la sicurezza del ritorno.



 Esce l'opera prima di Milos Fabbri, un viaggio che porta il lettore all'interno dei propri sentimenti, che lo costringe a scavare dentro di sé e a vedere il proprio dolore.
Il libro è composto da sedici racconti, i quali sono accomunati dal titolo stesso: Una nuova vita, che lo scrittore sembra dirci sia sempre possibile.

Milos Fabbri nasce a Faenza il 19 settembre del 1976 e, sbagliando completamente gli studi, entrerà presto nel mondo del lavoro come elettricista, che certamente gli permette di campare, ma non di alimentare la sua vena artistica. E' solo grazie a una serie di coincidenze e nuove amicizie che riesce finalmente a trovare la sua vera natura di scrittore.
                  

lunedì 23 settembre 2013

LA DISCARICA DEL TEMPO

Isabella stava salendo in auto, ormai era tutto pronto, suo padre stava tentando con molta fatica, di chiudere il bagagliaio, era troppo pieno. Non tanto dalle poche valigie colme dei loro abiti, ma soprattutto da quegli ingombranti orologi di suo padre. Non se ne era voluto separare, aveva ripulito la bottega e se li era caricati tutti, le aveva detto che nel nuovo negozio gli sarebbero serviti.
"Mia cara bambina, ce ne torniamo in città, vedrai che ti piacerà, ti farai subito dei nuovi amici e con un po' di tempo tornerai a sorridere" così le disse il babbo quando finalmente sentì ben chiuso il bagagliaio e poterono partire.
Ma Isabella continuava a pensare alla sua mamma, alla mamma che ora non aveva più; se ne era andata, era... morta. Faticava a dire quella parola, anzi non riusciva proprio a pronunciarla, ma ancor più le dava fastidio quella proferita dal padre in ospedale, lo aveva sentito mentre parlava col medico, dicevano di sua madre che "...ormai è una larva". Lei era inorridita, come potevano dire una cosa simile della sua mamma? Poi si rincuorò al pensiero che ora era una bellissima farfalla, che volava leggera nei prati posandosi sui fiori, nulla ora la poteva far soffrire...

Tratto da: La discarica del tempo, UNA NUOVA VITA di Milos Fabbri       Arduinosaccoeditore

Addio allo scrittore Alvaro Mutis





Addio allo scrittore Alvaro Mutis 
Uno dei massimi rappresentanti della letteratura ispanoamericana. Aveva 90 anni. E' stato amico di Gabriel Garcia Marquez e Fabrizio De André


CITTA' DEL MESSICO - Lo scrittore Alvaro Mutis, tra i maestri della letteratura latinoamericana, è morto ieri a Messico all'età di 90 anni. Lo ha reso noto su Twitter il Consiglio nazionale della Cultura e delle Arti messicano. Carmen Miracle, moglie dello scrittore, ha precisato al quotidiano messicano La Jornada che "la morte è sopravvenuta dopo una grave malattia che ne aveva reso necessario il ricovero una settimana fa".

Mutis, intimo amico di Gabriel Garcia Marquez, era nato a Bogotà nel 1923, ma aveva passato la sua infanzia in Belgio dove suo padre, diplomatico, visse fino al 1932. Dal 1956 risiedeva in Messico.

Il suo esordio letterario lo fece come poeta. Creò il personaggio di Magrol, che compare nella raccolta di poesie Gli elementi del disastro e che a partire dagli anni Settanta entrò nei suoi romanzi. Tra le sue opere più note, La Neve dell'Ammiraglio, Un bel morir e Ilona arriva con la pioggia, da cui è stato tratto il film di Sergio Cabrera e a cui è ispirata la canzone Smisurata Preghiera di Fabrizio De André, inclusa nel suo ultimo album Anime salve. Il cantautore
e lo scrittore si incontrarono alla prima della pellicola e da quell'incontro nacque un'amicizia e una profonda stima reciproca. Vinse tra gli altri i premi Xavier Villaurrutia, Principe delle Asturie e Cervantes.

Oltre che per la letteratura, Mutis aveva una grande passione per i viaggi. E' stato a lungo legato anche al mondo del cinema: fu agente in America Latina per alcune major Usa e nel 1988 fu voce narrante della versione spagnola della serie Gli intoccabili.

venerdì 20 settembre 2013

García Márquez lettore: i libri illeggibili? Al cesso!

gabriel-garcia-marquez“Il fatto è che non devono esserci libri obbligatori, libri di penitenza, il metodo salutare è interromperne la lettura non appena le pagine diventano insopportabili; tuttavia, per i masochisti che preferiscono proseguire malgrado tutto c’è una formula sicura: sistemare i libri illeggibili nel gabinetto.
C’è una strana domanda che ricorre spesso fra noi scrittori: che libro stai leggendo? Primo, perché è strano che uno scrittore non domandi a un altro che cosa stia scrivendo, e secondo perché si immagina che lo scrittore, per una necessità inerente al suo mestiere, stia sempre leggendo un libro che merita di essere consigliato. La risposta è quasi sempre evasiva, perché a partire da una certa età non si sa più bene che libro si stia veramente leggendo, ottenebrati come siamo dalla desolante sensazione che tutto quello che valeva la pena di leggere è stato già letto in passato, e che le ore prima dedicate alla lettura le si dedica adesso a pescare qua e là, con la speranza di imbattersi finalmente in una nuova e improvvisa rivelazione.
Sembra che i poeti siano i lettori più avidi e perseveranti. Dei romanzieri, invece, si dice che leggono solo per sapere come sono scritti i romanzi degli altri scrittori, e per scoprirvi i meccanismi più nascosti della professione. Qualcosa di simile allo smontaggio di tutti i pezzi di un orologio per scoprire com’è fatto e rimontarlo, affinché gli altri non posseggano segreti artigianali che non si sia in grado di utilizzare. [...] Il grande pericolo della rilettura è la delusione. Autori che ci affascinarono in passato potrebbero – e quasi sempre possono – apparirci insopportabili.
[...] Come lettore, nel mio caso, ci sono passioni giovanili che sono sopravvissute a tutto, e le tre più importanti sono Herman Melville, Robert Louis Stevenson e Alexandre Dumas [...] Oggi, le librerie sono grandi e vistosi mercati di libri di attualità, fabbricati apposta per essere venduti in tutta fretta e letti per ammazzare il tempo e poi finire nella spazzatura.
Gabriel García Márquez, “Taccuino di cinque anni”

mercoledì 18 settembre 2013

Recensione Libro “Una nuova vita”


Recensione Libro “Una nuova vita”

http://www.recensionelibro.it/una-nuova-vita-milos-fabbri



Recensione Libro 

“Una nuova vita"

Citazione
“Mi sento sconfitto, le sussurro all’orecchio SCUSA,
 mi alzo e mi allontano. 
Chiamo l’ambulanza e mi siedo fra il sangue. 
Le lacrime mi cessano
 ed un pensiero mi raggiunge: finalmente una nuova vita.”

 

 

Di cosa parla “Una nuova vita” di Milos Fabbri

Leggendo la raccolta di racconti “Una nuova vita” di Milos Fabbri, si ha la chiara sensazione dalle prime pagine che lo scrittore non userà mezzi termini, ma arriverà dritto al punto senza curarsi di utilizzare un tono compiacente.
Quello che fa Milos Fabbri nel libro “Una nuova vita” è condurre il lettore nella mente di personaggi apparentemente normali, che posti in una situazione scomoda e difficile per loro dovranno prendere delle decisioni importanti e risolutive.
I racconti narrati da Fabbri sono vivi, si mostrano in tutta la loro crudezza, perché la vita non può essere sempre raccontata con dolcezza, altrimenti non rappresenterebbe tutta la realtà.
Ed ecco i primi due personaggi, due anziani che guardano la televisione, ma sono presi da altro “pensavano alla loro fine, alla morte. Pensavano a quanta vita avevano trascorso cercando di campare il giorno dopo, tutto il tempo presente era usato in facoltà del giorno seguente”.
Questi pensieri nascondono ben altro, perché intanto una marea ha ucciso delle persone, tra cui dei bambini e per l’anziano è quasi d’obbligo chiedersi perché non sia accaduto a lui. Nel finale della storia c’è il colpo di scena, crudo come ciò che troppo spesso ultimamente accade.
La raccolta di racconti “Una nuova vita” non può essere descritta pagina per pagina, ma va letta per essere metabolizzata, perché certe storie ci sono molto più vicine di quanto pensiamo e Milos Fabbri vuole essere onesto, non inventare, anche si tratta pur sempre di un libro.
Leggendo “Una nuova vita” si ha l’impressione di guardare ciò che viene raccontato in televisione, ciò che siamo diventati e come alcune persone reagiscono dinanzi a certe situazioni.

martedì 17 settembre 2013

AUGURI


http://www.letteratu.it/2013/04/07/auguri/
http://www.raccontinellarete.it/?p=14274




La rabbia faticava a svanire.
Antonio se ne stava seduto sul divano con lo sguardo rivolto alla finestra chiusa. Aspettava il giorno, attendeva il sorgere del sole per affacciarsi a questa nuova giornata che avrebbe sicuramente risvegliato in lui antichi ricordi.
Aveva lo sguardo fermo, fisso, ancora arrabbiato; nonostante fossero passati vent'anni non l'aveva perdonata o forse, il risentimento per ciò che aveva perduto era più forte del vissuto. Si era logorato sulle possibilità perse da allora fino ad oggi: vent'anni. Non si era costruito più nulla di vero; giocava con le persone e con la sua stessa vita, non era riuscito a saltare il fosso, ma bensì ci era precipitato dentro. Il rancore lo aveva reso inerte davanti ai suoi desideri, era mutilato, storpio, monco.
Il sole si insinuò fra le persiane, un raggio lo colpì in volto, quest'oggi aveva deciso di porre fine al suo martirio, avrebbe cancellato quell'astio e si sarebbe riappacificato con entrambi: con lei, ma soprattutto con se stesso.
La collera gli bruciava dentro, più pensava a questa data, più si avvicinava a quella “fede”, più gli si smuoveva dentro un'incontrollata sensazione di vendetta, il tempo non aveva cancellato nulla; era troppo il dolore che aveva dovuto sopportare per colpa sua, di quel gesto egoistico. Antonio si era ritrovato a scavare nel passato, nella sua infanzia per sradicare quelle radici malate, ma lei non aveva fatto altro che sollevare la polvere ed uscirsene dopo poco per prendere una boccata d'aria fresca.
Spense il fornello quando ormai era già tardi, il caffè era uscito dalla moca ed aveva imbrattato tutto il piano cottura, non si mise a pulire ma si limitò a versare nella tazzina quel poco caffè rimasto. Uscì di casa, raccattò la bici dall'atrio del condominio e si allontanò da quelle poche certezze che si era sempre tenuto ben saldo.
Pedalava, e più pedalava più i pensieri si infoltivano, non riusciva più a distinguere le colpe che lui le aveva sempre attribuito, dalla sua paura di ammettere la propria debolezza, la propria incapacità ad affrontare le insicurezze del suo animo.
Si fermò di fronte ad un palazzo di due piani, squadrò il grosso portone chiuso e successivamente alzò lo sguardo fino ad una finestra aperta con un vaso di gerani in fiore sul davanzale.
Il completo caos che lo circondava, dagli ambulanti che vendevano verdura, ai rombi delle auto per finire alle grida dei bimbi che andavano a scuola, non scuotevano quel completo silenzio che gli regnava dentro. Avrebbe messo fine a quella cattiveria, oggi doveva fare in modo di contrastare quel senso di colpa che si portava dietro.
Non sapeva chi avrebbe trovato dietro a quella porta, ma a lui non importavano le persone, in questo momento aveva l'ambizione di disotterrare il cadavere del suo passato e magari riportarlo alla vita regalandosi così un po' di felicità.
Bussò alla porta, un giovane ragazzo gli aprì, serio e crucciato, non gli disse nulla, non lo invitò ad entrare, ma Antonio già si era fatto spazio fra lui e lo stipite della porta entrando. Percorse buona parte del corridoio, poi si fermò inginocchiandosi e prendendo dalla busta che portava con sé, mazzetta e scalpello, iniziò a picchiare sulla mattonella.
Il ragazzo iniziò a gridare, gli si avvicinò: “Guardi che chiamo la polizia, ma cosa diavolo sta facendo, questa è casa mia, ma cosa fa non vede che rompe tutto? Adesso la faccio arrestare!”.
Antonio continuava, con gesto ripetitivo a picchiare quella mattonella, la frantumò arrivando al massetto. Continuò a picchiare.
Il ragazzo si era allontanato, forse per telefonare, quando sbucò dalla stanza vicino una signora che senza dire nulla rimase ferma a guardare Antonio.
Vuole che le prepari un tè?” chiese la signora con tono cordiale.
Antonio si arrestò un momento, la guardò, poi ricominciò a demolire il massetto.
La signora entrò in cucina e mise sul fornello un brico con dell'acqua.
Non ci mise molto Antonio a recuperare la sua fede, conosceva bene il punto, era tornato vivo il momento in cui si sfilò, vent'anni addietro, la fede dall'anulare e la mise fra il cemento del massetto che stava facendo. La prese fra le mani e se la guardò, ci soffiò e se la strofinò sulla camicia, poi ci lesse la data, il nome; e si alzò.
Entrò in cucina, dalla stanza a fianco si alzò un suono di pianoforte; Antonio si mise seduto di fronte ad una tazza fumante di tè. Aveva trovato ciò che cercava, mancava un ultimo gesto e sarebbe, finalmente, tornato libero, forse fra poco tutta la sua rabbia sarebbe svanita, forse avrebbe pianto e a sessant'anni quel pianto sarebbe servito.
La signora gli si mise di fronte, lo guardava; Antonio le prese la mano e le infilò l'anello al dito.
Auguri” e così dicendole si alzò in piedi, percorse il corridoio e si chiuse la porta alle spalle. Si tolse la polvere dai pantaloni e respirando quella nuova aria del mattino salì sulla bicicletta con il peso dei suoi sessant'anni.

di Milos Fabbri

sabato 14 settembre 2013

Leggere e Sognare



"Coloro che leggono molti libri sono come i masticatori d'hashish: vivono in un sogno, e il veleno sottile che penetra nei loro cervelli li rende insensibili al mondo reale. Verrà il giorno che saremo tutti bibliotecari, e allora sarà finita per noi".

Anatole France, La vita letteraria, 1888/92

giovedì 12 settembre 2013

VOLARE e CADERE







Sono caduto nel fossato
che ero molto piccolo
e li dentro ci ho camminato
per parecchi anni
ma poi ne sono uscito

nessuno mi riconosceva
qualcuno mi sorrideva
vedendo i vestiti ormai invecchiati
ed i capelli tutti arruffati.

Così sono arrivato al mare
e nudo mi son messo a nuotare
per un po' ho nuotato
ma poi sono affogato

e questa è la triste fine
di un povero invornito
che a forza di provare
è riuscito a farsi male.

 di Milos Fabbri

Cosa è diventata la repressione nell’attuale società dei consumi: genealogia di una frustrazione.

Cosa è diventata la repressione nell’attuale società dei consumi: genealogia di una frustrazione.


Articolo di
Scritto il 1 agosto, alle 03 : 33 AM
letteratu.it




Avere non significa nulla se non c’è un impulso interno che determini l’aspirazione a un siffatto possesso. Quindi l’Avere può tradursi tranquillamente in Volontà. La società non oscilla tra l’Essere e l’Avere, ma tra l’Essere e il Volere. Questo dualismo non è altro che il mero tentativo di schematizzare qualcos’altro. Io andrei oltre, ovvero una Società che parte dall’Essere e dal Volere per giungere al Voler Essere.
Inibire le risorse autentiche della nostra coscienza e comprimerle con desideri vani, inutili, inefficienti perché non a misura delle nostre effettive possibilità è stato l’unico vero scopo di ogni società. Essa stessa non è un corpo malato, ma nonostante ciò non può illudersi di essere la migliore oggettivazione che lo spirito umano sia riuscito a compiere per sé stesso. In un contesto come questo, quando si parla di Volontà, si parla soprattutto di una volontà che autonomamente, coscienziosamente, liberamente crea una sovra struttura che governi quella sottostante. Una struttura ideale, un ideale che, ovviamente, non può essere attuato tanto quanto è incommensurabile la sua perfezione.
Cos’è allora la repressione? In questa società, la repressione rivela come prima forma il suo contrario, delle forze opposte come “imprimere”, “stimolare”, “esprimere”, “motivare”, “fissare”, tutto ciò che non vieta ma che ti consente invece una possibilità, di rendere possibile l’impossibile, di convertire le tue aspirazioni in realtà, di tramutare la volontà come causa in effetto. Il divieto è nella “presa di coscienza”. Quanto più aspiriamo, quanto più crediamo di poter fare il grande salto, quanto più desideriamo, sogniamo e ci convinciamo che l’impossibile è in realtà una menzogna, essa, la coscienza, ci catapulta nuovamente nella verità, un suolo circoscritto solo dalle umane possibilità, dai limiti, dalle vere capacità. La coscienza diventa l’unico vero metro di paragone del tuo valore. Veniamo inghiottiti continuamente da una cultura che offre meravigliose possibilità. Tuttavia la coscienza subisce la presa d’atto di sé stessa, davanti a questo spettacolo ci induce a una frenata, a sterzare immediatamente perché la strada, più avanti, non porterà a nessun paradiso.

mercoledì 11 settembre 2013

IL FUNAMBOLO

 



L'UOMO CHE CAMMINAVA NEL CIELO


Giuda era salito da poco in auto e si stava allontanando velocemente da casa, ma non riuscì a distaccarsi da quei pensieri che oramai da giorni lo scuotevano.
Imboccò l'autostrada all'altezza di Santena e per circa centosessanta chilometri non pensò più alla strada.
Non me ne è mai fregato niente di quello che veniva definito, il giusto modo di vivere, il modo corretto di comportarsi. Mi sono spesso posto il problema e, a volte, per colpa di persone care che mi stavano vicino, ho anche sofferto del mio menefreghismo. Ma non c'è niente da fare, ho quasi sempre messo il mio benessere sopra ogni cosa, ed ora penso che quello, sia l'unico modo giusto.

Giuda guidava senza concentrarsi, sapeva che fra qualche ora sarebbe arrivato, e a quel punto non si poteva più permettere questi pensieri. Doveva organizzare tutto, lo staff sarebbe arrivato nella mattinata seguente e lui, doveva concentrarsi.
Arrivò all'imbocco della A14 e senza esitazione svoltò a destra. Lo attendevano altri trecento chilometri.
Fu proprio quella frase della mia ex moglie che mi spinse a proseguire, a dedicarmi maggiormente alla mia nuova attività, com'è che mi disse: “Nella vita non si può fare sempre quello che si vuole, è ora che scendi dalle nuvole”. Ebbene eccolo qua il traditore, il falso, il menefreghista; chissà come diavolo è venuto in mente a mio padre di chiamarmi Giuda.

Giuda era abituato ad avere la mente sgombra, gli serviva soprattutto per il suo mestiere ma anche nella vita quotidiana aveva imparato a usufruire di questo suo stato. Imparò fin da ragazzo; dopo aver passato un'estate con una ragazza che oltre le solite gioie corporee, gli aveva pure insidiato nell'animo la curiosità di imparare quell'arte che lei praticava ogni mattina ed ogni sera: la meditazione. Così successe, si attrezzò di informazioni e proseguì con la pratica. Non era facile svuotare la mente, ma col tempo, ed erano ormai passati quindici anni, Giuda ci riuscì. In questi giorni però qualcosa aveva intaccato il suo animo, qualcuno era riuscito ad iniettargli una forte dose di malumore e di pensieri malinconici. Si stava recando verso la consacrazione, avrebbe ottenuto fama e celebrità ma tutto questo, ora, non era nei suoi pensieri; questi erano ampiamente ingolfati dalla figura del suo amico Paolo. Perché l'aveva fatto?

martedì 10 settembre 2013

Ascanio Celestini: a cosa servono gli intellettuali

Questa è la storia di un erbivoro. Un detenuto condannato alla reclusione fino al giorno 99 del mese 99 dell’anno 9999. «Fine pena mai», come una ghigliottina al rallentatore.

Prima che cada anche la sua testa, l’erbivoro si affaccia alla finestra della Storia per scrivere un discorso: le parole dei primi eroi del Risorgimento, entrate di soppiatto tra i muri della cella, ne hanno spalancato le porte al vento con una sconvolgente carica eversiva.

«Quand’è che il furto di una mela diventa un reato? C’è un limite? C’entra con la qualità della mela? La statua della giustizia davanti al tribunale ha una bilancia in mano, ma entrambi i piatti sono vuoti. Non è una bilancia per pesare la frutta».
Ascanio Celestini

domenica 8 settembre 2013

Quinta edizione concorso letterario nazionale "Pantarei"

QUINTA EDIZIONE - 2013
Premio Letterario Nazionale
Panta Rei
Gentile autore,
si rende noto che la Giuria del premio, presieduta da Gloria Venturini e composta da Giovanni Gentile, Mara Penso e Paolo Santato,  ha stilato la graduatoria dei vincitori. Il Premio,  alla sua quinta edizione, vanta della partecipazione di 269 opere in concorso, con un’adesione complessiva di 139 autori.
Il Premio è il risultato di un iniziativa culturale nata da una passione comune: la poesia. Un grazie infinito va ai partecipanti, poiché con la loro adesione hanno dato un senso al nostro operato. Le poesie pervenute sono 216  e 53 i racconti, 269 emozioni strette dentro a buste bianche, pronte ad uscire in fretta per essere lette, per essere trasmesse e lasciare un po' di sé, fogli che profumano di rosa, impregnati di pensieri e di tabacco, segnati dall'impronta di una lacrima. Lo scrivere è vita, è sfogo, è dolore, è condivisione.
Lo spessore umano elevato e le qualità stilistiche delle liriche e dei racconti   hanno messo in difficoltà i giurati,  la selezione è stata difficile. 
Di seguito la graduatoria finale con le opere vincitrici per ogni sezione.
Sezione Poesia
1° Premio            Raccogliemmo fiori                         di Manuela Magi
2° Premio            Far pulizia                                       di Emilio Diedo
3° Premio            Assenza                                           di Giuseppina Zupi     
4° Premio            Il colore delle rose d’agosto           di Tiziana Monari
Sezione Racconto
1° Premio            Non prevalebunt                            di Giovanni Scanavacca
2° Premio            Un folletto di nome Anna              di Nadia De Stefano
3°Premio             Qualcosa è cambiato                      di Milos Fabbri
4° Premio            Non sarà mai un addio                  di Rita Muscardin



Un grazie a tutti i partecipanti e un plauso ai finalisti.

PAOLO SORRENTINO



Nel maggio 2008 il regista partenopeo partecipa alla selezione ufficiale del Festival di Cannes 2008 con il film Il Divo, ispirato alla figura di Giulio Andreotti e interpretato da Toni Servillo. Il film si aggiudica il Premio della giuria, viene accolto con recensioni molto positive dalla critica italiana e internazionale[5] e riscuote un buon successo di pubblico.
Nel 2009 documenta con il video reportage L'assegnazione delle tende, realizzato per l'edizione online del quotidiano La Repubblica, gli effetti del terremoto all'Aquila. Lo stesso anno partecipa al progetto perFiducia, una serie di cortometraggi sul tema della fiducia che vede anche la partecipazione di Ermanno Olmi e Gabriele Salvatores, dirigendo il corto La partita lenta e supervisionando L'altra metà, diretto da Pippo Mezzapesa.
Il 27 settembre 2009 è tra i firmatari dell'appello rivolto alle autorità svizzere per il rilascio del regista Roman Polanski, detenuto in attesa di essere estradato negli Stati Uniti[6].
L'anno seguente pubblica per Feltrinelli il suo primo romanzo, Hanno tutti ragione, con il quale ottiene una candidatura al Premio Strega e all'Alabarda d'oro. Sempre nel 2010 partecipa al film collettivo Napoli 24 con l'episodio La principessa di Napoli.
Il suo primo film in lingua inglese, This Must Be the Place, vede Sean Penn nel ruolo del protagonista e viene presentato in concorso al Festival di Cannes 2011.[7] Il film ha un buon successo al botteghino, con circa 6 milioni di euro di incasso,[8] e vince il David di Donatello per la Migliore sceneggiatura, scritta insieme a Umberto Contarello.
Il 21 maggio 2013 esce nelle sale il suo film La grande bellezza, scritto con Umberto Contarello e in concorso alla 66ª edizione del Festival di Cannes[9]. Il film vede nuovamente Toni Servillo nel ruolo del protagonista, affiancato da Carlo Verdone e Sabrina Ferilli. È il suo maggiore successo al botteghino italiano, con un incasso di oltre 6 milioni di euro[10].

Filmografia

VI LASCIO IL MIO POSTO

 







VI LASCIO IL MIO POSTO



Da in cima alla collina si vede tutto un po' più piccolo.
Tè Minghìni te capì tòt in tla vita. Tan le brisa e burdel da campè ne una moglie che rompa el pal. Beato a te.”
Così ricordava Domenico, seduto su una roccia con lo sguardo rivolto ai calanchi, dire a qualcuno del paese.
Guardava queste spaccature della montagna e ci vedeva riflesso il suo cuore ed il suo animo. Certo, ora non aveva né figli né moglie, ma non era sempre stato così.
Quasi nessuno in paese ricordava la sua storia, solo i più vecchi, raramente avevano riacceso quel fuoco che aveva spazzato via la famiglia di Domenico. Lui stesso non ne faceva ricordo, nemmeno con se stesso.
La montagna era stata fino ad oggi il suo rifugio, lui era un uomo abituato al freddo, alla solitudine di quei luoghi, ma era stato un piacere avere, se pur per poco tempo, un luogo in cui scaldarsi. Un focolare.
Certo, la durezza ed i segni delle sue mani rispecchiavano il suo carattere, ma l'animo aveva piegato d'invidia anche gli ormai lontani ammiratori di Berlinguer che continuavano a citarne gli aforismi nel bar di Marradi: convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obbiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita.

La verità sul caso Harry  Quebert

GRAN PREMIO DI ROMANO ACCADEMIA DI FRANCESE 2012!   / Goncourt studenti delle scuole superiori 2012
PREZZO DELLA MISSIONE DELLA FONDAZIONE Bleustein-Blanchet nel 2012

4a di copertina:
New York nella primavera del 2008, mentre l'America è in fermento con le primizie delle elezioni presidenziali, Marcus Goldman, un giovane scrittore di successo, è in subbuglio: è in grado di scrivere il nuovo romanzo egli deve dare il suo editore di pochi mesi.
Il termine sta per scadere quando improvvisamente tutto è cambiato per lui: il suo amico ed ex professore universitario, Harry Quebert, uno degli scrittori più autorevoli del paese, e 'colto dal suo passato e si ritrova accusato di aver ucciso Nel 1975, Nola Kellergan, una ragazza con la quale aveva avuto una relazione. Convinto dell'innocenza di Harry, Marcus lascia tutto per andare a New Hampshire e indagare. Si è rapidamente superata dagli eventi: i lavelli di indagine e ha minacciato. Per salvare innocente Harry e la sua carriera di scrittore, egli deve assolutamente rispondere a tre domande: Chi ha ucciso Nola Kellergan? Che cosa è successo in New Hampshire, nell'estate del 1975? E come si fa a scrivere un romanzo di successo?
Egli appare nel thriller americano, La verità sul caso Quebert Harry è un riflesso d'America, i fallimenti della società moderna, della letteratura, della giustizia e dei media.
La verità su Harry Caso Quebert
Romanzo, 670 pagine. Editoria Fallois / Età Maschio

domenica 1 settembre 2013

Addio a Seamus Heaney, Nobel per la Letteratura.

LONDRA – È morto il grande poeta irlandese Seamus Heaney, premio Nobel per la Letteratura. Aveva 74 anni, a darne notizia la BBC.
Quando nel 1995 fu insignito del massimo riconoscimento letterario, la motivazione fu solenne: “Bellezza lirica e profondità morale, che esalta i miracoli quotidiani e il passato vivente”:
Heaney, simbolo coriaceo della cultura dell’isola britannica, era il più autorevole poeta irlandese, degno e tormentato erede di Yeats. Scavando nella cultura, nel paesaggio e nei seamus-heaneymiti irlandesi, Heaney ne fece materia per quello che è stato definito il Rinascimento poetico irlandese. E “Scavando” è proprio il titolo di una delle sue liriche più celebrate: “Ma io non ho la vanga per seguire uomini cosi’/Tra l’indice e il pollice/Ho la penna./Scaverò con quella”.
Lo ricordiamo quando con altri due poeti premi Nobel rese omaggio a Robert Frost
… Joseph Brodsky, Seamus Heaney e Derek Walcott. Un trio letterario da Accademia di Svezia. Insieme nel 1996 per un tributo a Robert Frost, una raccolta di saggi che sfugge alle consuete caricature del poeta di San Francisco – irascibile e prezioso filosofo della quotidianità – per sondare, invece, le idee e la musica alla base delle sue liriche.
Quello che Frost stesso chiamava “il suono del significato”. A formazione incompleta (Walcott è assente), li ritroviamo in una videocassetta di qualche anno prima (regia di Peter Hammer, Inner Dimension 1988, 60 min.) che fa parte del ciclo Voices and Visions dedicato dall’emittente televisiva PBS ai grandi della poesia americana. La pellicola si snoda fra interviste, drammatizzazioni, letture che ricostruiscono la parabola biografica e artistica dell’autore di “A nord di Boston”. Gli interventi di critici, poeti e scrittori (da William Pritchard a Richard Wilbur, fra gli altri) si susseguono lungo il filo della musica di Michael Bacon, che cristallizza le immagini di una natura già rabbrividita. Poi l’impagabile viso di Heaney sprigiona uno scompigliato buonumore irlandese, mentre dichiara che “Home Burial” – superando il ‘test della gelosia’ – è nell’antologia ideale che vorrebbe aver scritto. Brodsky, dal canto suo, irrora il tutto con un puro inglese di Leningrado.
Ma la voce di Frost è il fiume in cui si riversano tutte le altre, per le tante registrazioni originali a cui si è potuto attingere (ha preteso orecchie e animi di intere generazioni di studenti, “dicendo” le sue poesie in college e università). Ha avuto quattro Pulitzer. E la riconoscenza di tre premi Nobel.
(Barbara Pezzopane)

EROI DI CARTA



Eroi di cartaNon amo le etichette o gli schieramenti aprioristici. Mai. In nessun caso. Ritengo invece essenziale valutare da diverse prospettive ogni cosa, soprattutto quelle che si reputano importanti. Per questa ragione, appena saputo per radio del libro di Dal Lago (ero in autostrada sulla Firenze - Roma), l'ho immediatamente ordinato appena giunto in albergo. Ho letto ed apprezzato Gomorra, di Roberto Saviano e, dello stesso autore, non mi sono fatto mancare La bellezza e l'inferno. Che mi è piaciuto un po' meno, ma che comprerei di nuovo.
Ma non per questo ho deciso di iscrivermi al partito dei "Saviano santo subito", nè con l'acquisto di questo libro intendo manifestare il desiderio di un "Saviano al rogo". Al rogo manderei solo i fondamentalisti per partito preso. Quelli che si schierano e, probabilmente, non hanno letto nessuno di questi 3 libri. E pur pretendono di dettare il passo.
Chiunque ami la letteratura non potrà che apprezzare il lavoro di Dal Lago e del suo testo. Ricco di considerazioni, spunti di riflessione, citazioni ma anche critiche su un certo modo di porsi e intendere le cose. Un libro che aiuta a schiarisi ulteriormente le idee, a ponderare meglio i segnali e gli eventi.
Non tutti i passaggi risultano semplici e, le numerose citazioni, accrescono il piacere della lettura in chi possiede un buon background culturale, frustrando e indispettendo tutti gli altri.
Infine (a costo di apparire un po' snob), un passo del libro, a pag. 149, mi sento di sottoscriverlo pienamente, quando l'autore afferma "La fortuna del noir, della narrativa fantasy e pseudo-storica comporta il successo di uno stile di cui è facile individuare le caratteristiche [...] immagini forti, metafore facili, storie sensazionali, periodare semplice. Uno stile da passatempo, da letteratura da consumare più che da leggere, grazie al quale il lettore di un libro all'anno (che sia Tre metri sopra il cielo o Gomorra) si prende [...] una rivincita su quel mondo delle lettere che lo ha sempre escluso o continua a escluderlo quando produce poesia, critica o narrativa alta.

By PierLuigi

VOMITO




a Catta

Lo sportello dell'auto si apre, la mano rimane aggrappata alla maniglia, il piede sinistro si posa sull'asfalto; esco. Luca, sceso a sua volta mi si avvicina "ce la fai?", finita la frase mi cimento in uno splendido spettacolo di vomito ai piedi del fosso. Sono dilagnato, è tutta la sera che bevo dell'Unicum, il corpo non ce la fa più ma la mente è ancora in gran forma. Purtroppo non è così. Finite le gettate di vomito, non saranno state più di tre, raccatto la bottiglia dell'acqua in macchina e mi sciacquo la bocca. Che schifo il gusto di vomito, il suo odore nauseante; l'unica cosa positiva è che dopo una bella sboccata ci si riprende un pochino. Luca ride, rassicurato che per questa sera non morirò, ride, mi guarda e ride, mi lascio contagiare. Risaliamo in macchina. Guido io, come stava avvenendo anche prima della pausa vomito. Luca vorrebbe guidare ma l'auto è mia e come sempre mi impunto nel dire che ce la faccio senza problemi. A guidare. Luca non insiste, ci conosciamo da tanto ed è consapevole che non servirebbe. Insistere. L'auto si mette in moto, partiamo. L'andatura è lenta, ci stiamo dirigendo in un Pub per bere le prime birre, la serata è ancora lunga, ma ecco che dopo pochi minuti ci troviamo al lato della strada una pattuglia di carabinieri che, ovviamente, allungando la paletta c'intima di arrestare l'auto.
Fermi, non al bordo della strada ma esattamente al centro della corsia. Il carabiniere fa segno di accostare più a lato "avrà sicuramente capito la situazione" Luca rideva, del resto ride sempre, come può in questa situazione non ridere? Il carabiniere si avvicina al finestrino e mi guarda in faccia, io ricambio lo sguardo e chiaramente, rido. "Scendere prego". Bastava ascoltare la mia voce per capire che ero sbronzo, altro che un fottutissimo zero virgola otto, qui si parla di tre punto due. Non so se mi spiego.
Dopo aver dato un po' di spettacolo, con discorsi veramente al limite della decenza, il carabiniere, molto educato e molto testa di cazzo, mi dice che non posso guidare l'auto in quanto mi sta ritirando la patente. Luca non infieriva, non c'era nulla da infierire del resto, l'unica cosa che mi suggerì, "se vuoi Paolo, guido io fino a casa senza che chiami nessuno", ma ovviamente non accettai la sua proposta e alle tre del mattino chiamai mia madre per farmi venire a prendere.
Arriva la mamma, ci carica entrambi sulla sua macchina e porta Luca a casa, poi mi accompagna anche a me. Disastro. Sono un disastro di uomo, è che purtroppo sono sfigato, non sarà mica tutta colpa mia? La serata seppur lunga è giunta al termine senza l'auto nel garage, senza patente nel portafoglio, con l'animo incazzato e pure senza l'ultima birra nello stomaco. Fan culo tutti.