L'UOMO CHE CAMMINAVA NEL CIELO
Giuda era salito da poco in auto e si stava
allontanando velocemente da casa, ma non riuscì a distaccarsi da
quei pensieri che oramai da giorni lo scuotevano.
Imboccò l'autostrada all'altezza di Santena e per circa
centosessanta chilometri non pensò più alla strada.
Non me ne è mai fregato niente di quello che veniva
definito, il giusto modo di vivere, il modo corretto di comportarsi.
Mi sono spesso posto il problema e, a volte, per colpa di persone
care che mi stavano vicino, ho anche sofferto del mio menefreghismo.
Ma non c'è niente da fare, ho quasi sempre messo il mio benessere
sopra ogni cosa, ed ora penso che quello, sia l'unico modo giusto.
Giuda guidava senza concentrarsi, sapeva che fra
qualche ora sarebbe arrivato, e a quel punto non si poteva più
permettere questi pensieri. Doveva organizzare tutto, lo staff
sarebbe arrivato nella mattinata seguente e lui, doveva concentrarsi.
Arrivò all'imbocco della A14 e senza esitazione svoltò
a destra. Lo attendevano altri trecento chilometri.
Fu proprio quella frase della mia ex moglie che mi
spinse a proseguire, a dedicarmi maggiormente alla mia nuova
attività, com'è che mi disse: “Nella vita non si può fare sempre
quello che si vuole, è ora che scendi dalle nuvole”. Ebbene eccolo
qua il traditore, il falso, il menefreghista; chissà come diavolo è
venuto in mente a mio padre di chiamarmi Giuda.
Giuda era abituato ad avere la mente sgombra, gli
serviva soprattutto per il suo mestiere ma anche nella vita
quotidiana aveva imparato a usufruire di questo suo stato. Imparò
fin da ragazzo; dopo aver passato un'estate con una ragazza che oltre
le solite gioie corporee, gli aveva pure insidiato nell'animo la
curiosità di imparare quell'arte che lei praticava ogni mattina ed
ogni sera: la meditazione. Così successe, si attrezzò di
informazioni e proseguì con la pratica. Non era facile svuotare la
mente, ma col tempo, ed erano ormai passati quindici anni, Giuda ci
riuscì. In questi giorni però qualcosa aveva intaccato il suo
animo, qualcuno era riuscito ad iniettargli una forte dose di
malumore e di pensieri malinconici. Si stava recando verso la
consacrazione, avrebbe ottenuto fama e celebrità ma tutto questo,
ora, non era nei suoi pensieri; questi erano ampiamente ingolfati
dalla figura del suo amico Paolo. Perché l'aveva fatto?
Decise di fare una sosta.
Era da parecchi mesi che non ci vedevamo più, io ero
spesso fuori per lavoro e lui, spesso fuori dal suo corpo, perso in
riti che non gli avrebbero portato altro che guai. Aravamo ottimi
amici, ci conoscevamo dall'infanzia, da quando inizi a costruirti i
ricordi, ed ora, lui mi ha lasciato, si è impiccato, ed ha usato il
mio stesso attrezzo, una fune. Forse voleva dirmi qualcosa, era come
lasciarmi un segno, un biglietto: ti voglio bene Giuda.
Alla prima uscita mise la freccia e svoltò a destra,
pagò al casello e si fermò esitante alla prima rotonda. Non aveva
una meta, voleva solo riprendere il controllo del suo respiro e
sgranchirsi le gambe, lesse i cartelli che indicavamo i paesi e
scelse il più vicino.
Gli si stringeva lo stomaco e provava una fitta al
cuore nel ricordare ora, quel messaggio al cellulare che aveva
ricevuto poche settimane indietro. Quello si che era un messaggio
d'addio, ma lui ci diede poco peso: “E finalmente anch'io mi sento
avviluppato dall'ultima conoscenza: la fine degli ingenui sogni di
gioventù e l'inizio del riconoscimento della resa ad una vita in
dono agli altri che lascia solo l'inaffrontabile scalata dei propri
limiti fisici ed umani. Così inizia la fine di un amico disperato.”
Questo gli aveva scritto il suo amico Paolo.
Si addentrò lungo le vie fino ad arrivare nei
pressi del centro, parcheggiò e scese dall'auto. Appena girato
l'angolo gli si presentò una bellissima piazza contornata da un
loggiato che la circondava. Negozi e vetrine riempivano il
circondato. Giuda si fermò a leggere un manifesto attaccato alla
vetrina di una libreria; stava per iniziare la presentazione di un
libro sulla religione: Il Vangelo di Giuda Iscariota; aprì la porta
ed entrò.
La sala dove si teneva la conversazione non era
molto ampia, ma c'è da dire che c'erano poche persone per cui era
delle giuste dimensioni; Giuda rimase in piedi appoggiato ad una
colonna ad ascoltare.
L'oratore era un uomo panciuto, avrà avuto una
sessantina d'anni, era vestito con un completo marrone e teneva al
collo la custodia degli occhiali. Stava seduto e guardava quelle
poche persone che lo ascoltavano.
Aveva sicuramente iniziato da poco, perchè ancora
riusciva a stare fermo, su quello che Giuda giudicava, uno
scomodissimo sgabello. Stava narrando di come le sue ricerche fossero
state all'avanguardia e molto apprezzate in Europa dove ancora molto
poco si sapeva del Vangelo di Giuda.
Mentre ascoltavo continuavo a chiedermi come mio
padre abbia potuto chiamarmi Giuda.
Se ne stava per andare, l'argomento non è che lo
catturasse particolarmente, ma la sua fuga fu interrotta da quella
frase che lo fece sentire un poco più orgoglioso: “Giuda era il
discepolo che più amava Gesù e per questo motivo, pur insistendo di
non voler accettare, si piegò al volere di Cristo, e cioè
acconsentì a tradirlo...”
Uscì dalla biblioteca e tornò verso l'auto, mise in
moto e ripartì per Verrucchio.
Arrivò a San Marino che ormai era sera.
Sistemati i convenevoli con gli organizzatori del
festival e dell'albergo si incamminò verso cima Dante, dove nel
pomeriggio seguente avrebbe iniziato il suo percorso. Si mise seduto
sul vertice, chiuse gli occhi dopo aver osservato svanire l'ultimo
bagliore del tramonto e si appacificò.
L'indomani l'attendevano duecentocinquanta metri da
percorrere ad una altezza di ottanta, su una fune d'acciaio che univa
la cima Dante alla cima Baccanelli. Giuda il funambolo avrebbe
camminato fra il cielo e stabilito il nuovo record di attraversata su
fune in Italia.
Inizio a chiedermi perchè cammino lassù fra le
nuvole, fra la paura; perchè lo faccio? Non ho trovato le risposte,
e spesso bastano le domande.
Alle quattro del
pomeriggio tutto era pronto. Il cavo era stato posizionato e tirato
adeguatamente, gli spettatori si erano radunati sotto nella piazza e
sui balconi delle case sottostanti. La tensione nello staff iniziava
a salire e finalmente Giuda appariva sull'orizzonte della cima,
sereno. Era vestito con un completo gessato nero, una camicia bianca
e le sue solite scarpette da funambolo, era a prima vista, molto
elegante. Si accovacciò all'estremità della fune e si chiuse in
meditazione qualche minuto poi, alzandosi in piedi prese fra le mani
l'asta e posò il piede destro sull'acciaio, percependone il freddo e
la sua rotondità. Toccò al piede sinistro, Giuda era sospeso nel
cielo ed aveva cominciato la sua attraversata, lo sguardo era tutto
per la fune, nulla stava intaccando il magico silenzio che lo
avvolgeva in questi momenti. Quando arrivò all'incirca a metà, si
fermò chinandosi e sedendosi sulla fune. Stava salutando il
pubblico. Si rialzò ed arrivò sino alla fine, fino a riposare i
piedi sulla terra; ce l'aveva fatta, l'impresa era compiuta. Si
rilassò, festeggiò e finalmente sorrise nell'aver compiuto ciò che
più amava: camminare sopra il cielo.
di Milos Fabbri
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