mercoledì 11 settembre 2013

IL FUNAMBOLO

 



L'UOMO CHE CAMMINAVA NEL CIELO


Giuda era salito da poco in auto e si stava allontanando velocemente da casa, ma non riuscì a distaccarsi da quei pensieri che oramai da giorni lo scuotevano.
Imboccò l'autostrada all'altezza di Santena e per circa centosessanta chilometri non pensò più alla strada.
Non me ne è mai fregato niente di quello che veniva definito, il giusto modo di vivere, il modo corretto di comportarsi. Mi sono spesso posto il problema e, a volte, per colpa di persone care che mi stavano vicino, ho anche sofferto del mio menefreghismo. Ma non c'è niente da fare, ho quasi sempre messo il mio benessere sopra ogni cosa, ed ora penso che quello, sia l'unico modo giusto.

Giuda guidava senza concentrarsi, sapeva che fra qualche ora sarebbe arrivato, e a quel punto non si poteva più permettere questi pensieri. Doveva organizzare tutto, lo staff sarebbe arrivato nella mattinata seguente e lui, doveva concentrarsi.
Arrivò all'imbocco della A14 e senza esitazione svoltò a destra. Lo attendevano altri trecento chilometri.
Fu proprio quella frase della mia ex moglie che mi spinse a proseguire, a dedicarmi maggiormente alla mia nuova attività, com'è che mi disse: “Nella vita non si può fare sempre quello che si vuole, è ora che scendi dalle nuvole”. Ebbene eccolo qua il traditore, il falso, il menefreghista; chissà come diavolo è venuto in mente a mio padre di chiamarmi Giuda.

Giuda era abituato ad avere la mente sgombra, gli serviva soprattutto per il suo mestiere ma anche nella vita quotidiana aveva imparato a usufruire di questo suo stato. Imparò fin da ragazzo; dopo aver passato un'estate con una ragazza che oltre le solite gioie corporee, gli aveva pure insidiato nell'animo la curiosità di imparare quell'arte che lei praticava ogni mattina ed ogni sera: la meditazione. Così successe, si attrezzò di informazioni e proseguì con la pratica. Non era facile svuotare la mente, ma col tempo, ed erano ormai passati quindici anni, Giuda ci riuscì. In questi giorni però qualcosa aveva intaccato il suo animo, qualcuno era riuscito ad iniettargli una forte dose di malumore e di pensieri malinconici. Si stava recando verso la consacrazione, avrebbe ottenuto fama e celebrità ma tutto questo, ora, non era nei suoi pensieri; questi erano ampiamente ingolfati dalla figura del suo amico Paolo. Perché l'aveva fatto?


Decise di fare una sosta.
Era da parecchi mesi che non ci vedevamo più, io ero spesso fuori per lavoro e lui, spesso fuori dal suo corpo, perso in riti che non gli avrebbero portato altro che guai. Aravamo ottimi amici, ci conoscevamo dall'infanzia, da quando inizi a costruirti i ricordi, ed ora, lui mi ha lasciato, si è impiccato, ed ha usato il mio stesso attrezzo, una fune. Forse voleva dirmi qualcosa, era come lasciarmi un segno, un biglietto: ti voglio bene Giuda.
Alla prima uscita mise la freccia e svoltò a destra, pagò al casello e si fermò esitante alla prima rotonda. Non aveva una meta, voleva solo riprendere il controllo del suo respiro e sgranchirsi le gambe, lesse i cartelli che indicavamo i paesi e scelse il più vicino.
Gli si stringeva lo stomaco e provava una fitta al cuore nel ricordare ora, quel messaggio al cellulare che aveva ricevuto poche settimane indietro. Quello si che era un messaggio d'addio, ma lui ci diede poco peso: “E finalmente anch'io mi sento avviluppato dall'ultima conoscenza: la fine degli ingenui sogni di gioventù e l'inizio del riconoscimento della resa ad una vita in dono agli altri che lascia solo l'inaffrontabile scalata dei propri limiti fisici ed umani. Così inizia la fine di un amico disperato.” Questo gli aveva scritto il suo amico Paolo.

Si addentrò lungo le vie fino ad arrivare nei pressi del centro, parcheggiò e scese dall'auto. Appena girato l'angolo gli si presentò una bellissima piazza contornata da un loggiato che la circondava. Negozi e vetrine riempivano il circondato. Giuda si fermò a leggere un manifesto attaccato alla vetrina di una libreria; stava per iniziare la presentazione di un libro sulla religione: Il Vangelo di Giuda Iscariota; aprì la porta ed entrò.
La sala dove si teneva la conversazione non era molto ampia, ma c'è da dire che c'erano poche persone per cui era delle giuste dimensioni; Giuda rimase in piedi appoggiato ad una colonna ad ascoltare.
L'oratore era un uomo panciuto, avrà avuto una sessantina d'anni, era vestito con un completo marrone e teneva al collo la custodia degli occhiali. Stava seduto e guardava quelle poche persone che lo ascoltavano.
Aveva sicuramente iniziato da poco, perchè ancora riusciva a stare fermo, su quello che Giuda giudicava, uno scomodissimo sgabello. Stava narrando di come le sue ricerche fossero state all'avanguardia e molto apprezzate in Europa dove ancora molto poco si sapeva del Vangelo di Giuda.
Mentre ascoltavo continuavo a chiedermi come mio padre abbia potuto chiamarmi Giuda.
Se ne stava per andare, l'argomento non è che lo catturasse particolarmente, ma la sua fuga fu interrotta da quella frase che lo fece sentire un poco più orgoglioso: “Giuda era il discepolo che più amava Gesù e per questo motivo, pur insistendo di non voler accettare, si piegò al volere di Cristo, e cioè acconsentì a tradirlo...”
Uscì dalla biblioteca e tornò verso l'auto, mise in moto e ripartì per Verrucchio.

Arrivò a San Marino che ormai era sera.
Sistemati i convenevoli con gli organizzatori del festival e dell'albergo si incamminò verso cima Dante, dove nel pomeriggio seguente avrebbe iniziato il suo percorso. Si mise seduto sul vertice, chiuse gli occhi dopo aver osservato svanire l'ultimo bagliore del tramonto e si appacificò.
L'indomani l'attendevano duecentocinquanta metri da percorrere ad una altezza di ottanta, su una fune d'acciaio che univa la cima Dante alla cima Baccanelli. Giuda il funambolo avrebbe camminato fra il cielo e stabilito il nuovo record di attraversata su fune in Italia.
Inizio a chiedermi perchè cammino lassù fra le nuvole, fra la paura; perchè lo faccio? Non ho trovato le risposte, e spesso bastano le domande.

Alle quattro del pomeriggio tutto era pronto. Il cavo era stato posizionato e tirato adeguatamente, gli spettatori si erano radunati sotto nella piazza e sui balconi delle case sottostanti. La tensione nello staff iniziava a salire e finalmente Giuda appariva sull'orizzonte della cima, sereno. Era vestito con un completo gessato nero, una camicia bianca e le sue solite scarpette da funambolo, era a prima vista, molto elegante. Si accovacciò all'estremità della fune e si chiuse in meditazione qualche minuto poi, alzandosi in piedi prese fra le mani l'asta e posò il piede destro sull'acciaio, percependone il freddo e la sua rotondità. Toccò al piede sinistro, Giuda era sospeso nel cielo ed aveva cominciato la sua attraversata, lo sguardo era tutto per la fune, nulla stava intaccando il magico silenzio che lo avvolgeva in questi momenti. Quando arrivò all'incirca a metà, si fermò chinandosi e sedendosi sulla fune. Stava salutando il pubblico. Si rialzò ed arrivò sino alla fine, fino a riposare i piedi sulla terra; ce l'aveva fatta, l'impresa era compiuta. Si rilassò, festeggiò e finalmente sorrise nell'aver compiuto ciò che più amava: camminare sopra il cielo.

di Milos Fabbri

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