sabato 31 agosto 2013

RILEGGERE, RISCRIVERE. 

 di Marco Kito Toccacieli

Tempo fa, al secondo o terzo anno di superiori, feci una litigata impressionante con mio padre. Non avevo ancora ambizioni da scrittoruncolo, ma decisi ugualmente di scrivere il senso di amerezza e delusione che mi era rimasto addosso. Rilessi la paginetta e mi commossi: era un testo di una profondità impressionante, anche una larva si sarebbe messa a piangere nel leggerlo, pensai.
Un paio di mesi fa, durante una delle grandi pulizie di mamma, il foglio in questione, che era stato dimenticato sul fondo di uno scatolone colmo di libruncoli e quadernetti, saltò fuori nuovamente.
Diedi un'occhiata al pensiero che avevo appuntato anni prima e non era più profondo di una tazzina da caffè, era banalissimo.
Vi è mai capitato qualcosa di analogo?
Questo succede perchè nel momento che decidiamo di scrivere trasferiamo i pensieri, le immagini e le sensazioni dalla nostra testa alla pagina. Spesso, però, specie se abbiamo poca dimestichezza con lo scrivere, questo trasferimento avviene solo per metà: un po' di informazioni vanno nella pagina e un altro pochino ci rimangono a gironzolare nel cranio senza che noi ce ne accorgiamo. Quando rileggiamo il testo a mente calda (subito dopo averlo scritto) le informazioni scritte si uniscono a quelle rimaste impigliate nel cervello e il risultato è: "Questo testo è meraviglioso!"... abbiamo il 100% di informazioni.
Meraviglioso un accidente. Proviamo a rileggere l'elaborato dopo un mese e il risultato è già cambiato: "carino, ma manca qualcosa". Cosa manca? la parte di informazioni inerenti lo scritto che la nostra testolina non si ricorda più. Be', dopo tre-quattro mesi andrà anche peggio.
Questo non vuol dire che siamo autori senza speranza, ma piuttosto che dobbiamo continuamente rileggere e riscrivere lo stesso racconto/romanzo. Che mano a mano dobbiamo aggiungere le informazioni che mancano alla pagina, riempire i vuoti.
Ehi, quello che abbiamo scritto - tenetelo bene a mente - non è, nella maggioranza dei casi, una potoria... è solo una prima stesura e come tale ha bisogno di essere revisionata: cerchiamo di non essere troppo severi con noi stessi!
Più che lo scrivere, ciò che innalza uno scrittore rispetto a un altro è il RI-scrivere.
Non c'è un metodo standard inerente la correzione del testo, ma vi posso dire il mio.
CORREZIONE N°1
Grammaticale, subito dopo la prima stesura.
CORREZIONE N° 2
Correzione grammaticale e di significato. Lascio riposare il testo per almeno un mesetto, lo rileggo e riscrivo le parti che non mi vanno particolarmente a genio. Apporto le informazioni che mi accorgo mancare.
ALTRE CORREZIONI.
Non si finisce mai di correggere un testo. Ogni volta che lo si rilegge (a distanza di tempo) si trovano delle cose che si possono migliorare: attualmente sto revisionando racconti vecchi di anni, fate un po' voi...
QUANDO SI PUO' MANDARE IL TESTO AGLI EDITORI.
Possibilmente dopo diverse revisioni e non prima di 3-4 mesi dalla prima stesura. Sarebbe utile far leggere il testo da qualcuno di nostra fiducia (disposto a confrontarsi con noi su ciò che abbiamo scritto al fine di trovare punti deboli e punti forti). Meglio ancora se la persona in questione è un editor.
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di Marco Kito Toccacieli

“Caducità” di Hermann Hesse

“Caducità” di Hermann Hesse

articolo di: Maria Colombro



Su me dall’albero della vita
foglia su foglia cade.
O variopinto mondo senza senso
come ci rendi sazi,
sazi e stanchi
come ci rendi ebbri!
Ciò che ancor oggi arde
sprofonda presto.
Presto sibila il vento
sulla mia bruna tomba,
si reclina la madre
sul suo figlioletto.
Gli occhi suoi voglio rivedere
il suo sguardo è la mia stella,
tutto il resto vuol dileguare e sparire,
tutto muore, tutto muore volentieri.
Resta solo l’eterna Madre
dalla quale noi venimmo,
nell’aria labile le sue dita
giocano a scrivere il nostro nome.

Hermann Hesse

Rendersi consapevoli che tutto è talmente caduco, precario, destinato alla fine.
Non ci si potrebbe aspettare niente di dissimile da un pensatore come Hermann Hesse. Artista a tutto tondo ha regalato sempre con la sua prosa così come la sua poesia panoramiche sul mondo schiette e sentimentali. Nella raccolta alla quale questo testo appartiene, “Il Canto degli alberi”, l’autore sceglie come oggetto simbolo proprio gli alberi, che, compiendo il loro ciclo, ben rappresentano la caducità e l’eterna rinascita. Nella loro essenza è nascosta un po’ anche la nostra.
Apparteniamo ad un tempo che è destinato a concludersi, siamo interposti tra ineluttabili inizio e fine. Eppure ci illudiamo di possedere il mondo, di dominarlo in qualche modo. La nostra esistenza è invece momentanea, transitoria.
Foglia su foglia cade scrive Hermann Hesse. Questa immagine è di straordinaria efficacia. Le parole quasi non servono più. L’autunno degli alberi è l’autunno degli uomini.
Siamo in balia di chissà quale destino, sovrastati da un mistero che non ci è dato rivelare eppure ci crediamo gli eterni e assoluti padroni del futuro, sebbene del futuro possiamo cogliere solo piccole sfumature. L’unica dimensione che potremmo pensare di afferrare è il presente, tuttavia anche questo spesso ci sfugge.
Tutto quello che si potrebbe ancora dire è racchiuso negli ultimi quattro versi della poesia. In essi vi è il senso di ciò che il poeta si sforza di spiegare nei versi precedenti. Dalla terra noi veniamo e alla terra siamo inevitabilmente obbligati a tornare. La madre di ogni cosa ci accoglie tutti e come una burattinaia tiene i fili delle nostre vite.
Ogni verso di questa poesia è una sentenza e un invito alla riflessione. Questo sicuramente non vuol dire che dobbiamo rassegnarci a subire il destino che ci capita, forse però dobbiamo imparare serenamente ad accettarlo, perché tutto è fallibile, tutto ci colpisce soltanto trasversalmente.

giovedì 29 agosto 2013

IL PETTIROSSO


IL PETTIROSSO



Penso al sospiro che fece quando senza più notarmi si chiuse la porta alle mie spalle. Sicuramente fece un lungo sospiro e si disse un poco sconsolata: fatto un altro.
Avrà ricontato i soldi, forse messi in un barattolo vuoto e si sarà mangiata un biscotto; si sarà lavata, asciugata e profumata, per il prossimo cliente o solo per se stessa. Probabilmente avrà di nuovo sospirato, un sospiro più breve, conosciuto, non tanto perché fosse stanca; ma come a dire fatto un altro.
Ed io invece guidando mi torno a casa e sospiro, un po' penso hai soldi spesi ma poi mi porto le labbra al naso e quell'odore mi da' piacere. Sospiro e penso a quanti siamo in questo momento a sospirare.
L'auto procede, i miei pensieri si fermano, ma ecco che noto nel centro della strada qualcosa, ancora non lo distinguo e poi ecco si lo vedo un uccellino morto. Non sembra schiacciato, faccio pochi metri e riesco a trovare uno spiazzo per fare inversione, ancora qualche metro e di nuovo, inversione. Mi fermo, e senza che nessuno mi veda faccio una piccola corsa per recuperare il defunto pettirosso. Lo poso dietro, ai piedi del sedile e riparto. Faccio però poca strada perché di nuovo l'andatura vien fermata, stavolta da una pattuglia che, paletta alla mano mi fa segno di accostare. Abbasso il finestrino dopo aver spento l'auto, il carabiniere si avvicina ancora di più e mi guarda negli occhi, "patente e libretto" ed il suo sguardo ancora persiste. Allungo la mano verso lo sportello del parabrezza poi nel portafoglio; gli allungo entrambi i documenti e lo fisso anch'io come a dire beh che vuoi? E penso, penso a questo innato odio che nutro contro la legge, contro i tutori della legge.

EDUCAZIONE EVOLUTIVA

Professore Umberto Galimberti:

Ai nostri giovani manca il linguaggio, mancano le parole...
Ma voi pensate davvero che uno possa pensare senza le parole? I nostri pensieri sono proporzionati alle parole che possediamo. Non possiamo pensare al di là delle parole che possediamo e se ne possediamo poche, pensiamo poco.

mercoledì 28 agosto 2013

I libri abbandonati non sono mai soli

I libri abbandonati non sono mai soli

articolo di: Giovanna Nappi
tratto da Letteratu.it





Il mondo è bello perché è vario”: quante volte ci è stata propinata questa frase?

È probabilmente una delle più sdoganate, ma non per questo meno veritiere. Effettivamente la varietà diventa la coordinata entro la quale muoversi per ottenere riscontri positivi, di qualsiasi ambito si stia parlando.
Stesso discorso per la letteratura. È grazie alla possibilità di scelta così vasta che ogni giorno ci viene messa a disposizione in libreria che siamo, di volta in volta, in grado di trovare il libro che soddisfi le nostre aspettative, che risponda alle esigenze dettate dal particolare momento che stiamo vivendo e ai nostri gusti personali.
Eppure, acquistare un libro in seguito dopo averlo scelto non equivale a garantirci che ci piacerà. È possibile che qualcosa vada storto, e che iniziando a leggere le sue pagine realizziamo che – accidenti! – proprio non si può proseguire. Le motivazioni possono essere tantissime, magari non condividiamo affatto l’ideologia dell’autore che trapela attraverso le sue parole, oppure non riteniamo abbastanza originale i contenuti raccontati, o ancora non gradiamo lo stile entro cui è stato sviluppato l’intero libro. Ne ha parlato lo stesso Daniel Pennac:

Ci sono mille ragioni per abbandonare un romanzo prima della fine: la sensazione del già letto, una storia che non ci prende, il nostro dissenso rispetto alle tesi dell’autore, uno stile che fa venire la pelle d’oca.”

 A questo punto cosa accade? Decidiamo di accanirci il più a lungo possibile, sperando che ad un certo punto avvenga “la svolta” (che molto probabilmente non ci sarà mai), oppure consci del nostro fallimento lo mettiamo subito da parte, in attesa di tempi migliori?

 Credo che esista un posto, immaginario ma non per questo meno possibile di altri, in cui sono accatastati tutti i libri abbandonati dai propri lettori. Afflitti dai sensi di colpa, se ne stanno lì, nel dimenticatoio, a domandarsi cosa sia andato storto, se avrebbero potuto far qualcosa perché le cose andassero diversamente. Credo anche che siano presenti tutte le Anna Karenina e le Lolita incompiute, che aggiungeranno nuove tragedie alla propria vicenda – e perché no, anche un po’ di sana competizione –; ci saranno le interminabili saghe firmate Rowling o Tolkien, che soltanto appassionate menti fresche avranno avuto modo (e coraggio) di terminare; e certamente non potrà mancare la trafila di romanzi che a noi lettori erano sembrati sfavillanti grazie a quelle fascette così accattivanti, ma che si sono rivelati prodotti di bassa lega, impedendo di proseguire nella lettura.
Credo però che non tutti i giudizi negativi siano tali in assoluto, e che spesso la contingenza del momento faccia da padrona. Non è un caso che le rivelazioni letterarie più grandi siano capitate quando un libro impolverato è tornato nelle mani del suo proprietario, e sorpreso a sua volta del ripescaggio, abbia saputo – fedele come pochi – riservargli il regalo più grande: la soddisfazione della lettura, fino all’ultima pagina stavolta.

FESTIVALfilosofiaAMARE

http://www.tafter.it/wp-content/uploads/2013/08/FestivalFilosofia2013.jpg

Marc<br/>Augé
Zygmunt
Bauman
Zygmunt<br/>Bauman

domenica 25 agosto 2013

STATE COLMI

HO FATTO VOTO DI VASTITA'

Video tratto da:
26-30 settebre 2012 Torino spiritualità


Alessandro Bergonzoni sarebbe da ascoltare e riascoltare; sia per decifrare le sua parole sia per comprenderne il significato. Non parla a vanvera e non storpia le parole per il gusto di farci sorridere, ma ci illumina sul fatto che tutte le parole hanno un significato, il più delle volte ignaro all'oratore.
Bergonzoni ci indica un percorso che è quello di identificarci negli esseri diversi da noi. I problemi non si risolvono abbattendo le navi degli immigrati, nemmeno castrando gli stupratori e nemmeno gettendo la chiave delle carceri. Il problema è oltre.
Bisogna capire perchè, le persone compiano certi atti, andare alla radice ed iniziare ad educare l'uomo negli asili, ma forse anche li è tardi...

sabato 24 agosto 2013

UN FIORE





UN FIORE

Un magnifico fiore
tutto rosso
è nato d'inverno
nel centro di un lago ghiacciato

Il vento gelido
tentava di piegarlo spezzarlo
niente

La neve così candida
scendeva impetuosa
tentava di piegarlo spezzarlo
niente

Un uomo poi
con il semplice gesto
della mano
lo piega lo spezza

venerdì 23 agosto 2013

LA CRISI

 


Ecco che cosa affermò Einstein in merito alla crisi, decine di anni fa:

"Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.
La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E' nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere 'superato'.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza. L' inconveniente delle   persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla." 

(tratto da “Il mondo come io lo vedo”1931).


giovedì 22 agosto 2013

TRISTEZZA

Della scuola non mi è rimasto nulla se non la vaga senzazione di aver buttato via delle buone possibilità. Ma come tutti sappiamo è inutile recriminare, quasi nessuno è disposto ad ascoltare, a nessuno interessano i nostri mali, semplicemente veniamo accusati e derisi, ma mai capiti.
Avevo un compagno di classe, Tronconi Marco, che fra le altre cose condivideva con me una delle poche cose della scuola che avevamo apprezzato - a livello didattico: Charles Baudelaire.
Fummo estasiati dallo Straniero, dall'Albatros...
Forse eravamo persone tristi e mai ci siamo riusciti a levare quella pesantezza da dosso, ma a differenza di tanti eravamo sempre stati noi stessi, nel bene e nel MALE.


TRISTEZZA DELLA LUNA


Vedevo dalla finestra il vento che si alzava, le nuvole correvano veloci, nuvoloni neri portatori di pioggia. Stava per arrivare un bel temporale. Mi immaginavo le volpi che si affrettavano a rientrare nelle tane, gli uccelli che cercavano un ramo sicuro e i piccoli insetti che si infilavano nelle crepe della terra trovando riparo. Ed io me ne stavo chiuso tra le mura della mia casa.


Eravamo stretti fra le pareti della cucina, le misi la mano destra sul culo e strinsi la chiappa, me la portai ancora più vicino a me e le cercai le labbra. Con la mano sinistra scavai fra gli strati di vestiti per giungere al seno, lo strinsi, e subito sentii il desiderio irrigidirsi in me, ma lei girò lo sguardo, mi allontanò la mano e fece un passo indietro. Anche oggi mi sarei dovuto masturbare.
La mia reazione fu la solita, mi incazzai. Avevo voglia di toccarla, di essere toccato. Lei, si incazzò a sua volta; era tipico: io le facevo il muso perché non me la dava e lei si offendeva perché io pensavo solo a quello.
Uscii dalla cucina borbottando e mi misi seduto sul divano facendo finta di leggere, dopo poco la vidi attraversare la sala col suo solito passo spedito, verso la camera.
Non sapevo bene cosa fare quando, mi sentii chiamare: “Amoree vieni a leccarmi tutta”. Non ci potevo credere, si era convinta, ma la cosa era molto strana, non era mai capitato che cambiasse idea così velocemente. D'altronde lei non è un uomo, lei non separa il sesso dalle emozioni.
Mi alzai e andai in camera, era nuda con le gambe aperte che mi aspettava ma, non ebbi neanche il tempo di accucciarmi fra le sua gambe che iniziò a stropicciare il volto in smorfie di dolore. Si mise la mano a coprire la vagina, capii che le fitte le provenivano da lì: “Che hai fatto? Ti prude?”. Scostai la sua mano e vidi che le labbra erano rosse, irritate. Alzai lo sguardo su di lei ed entrambi ci voltammo verso il bordo del letto; c'era un ramo di una pianta a terra, era la Stella di Natale.
Sei proprio una stupida, cosa pensavi di fare? Vatti a sciacquare io faccio un salto in farmacia. Pensavi di uccidermi? Guarda che al limite mi veniva un po' di vomito e diarrea.”
Certo che non ti volevo uccidere, ma sei uno stronzo”.

sabato 17 agosto 2013

LONTANO


                    Freschi pensieri

                    in questo torrido caldo

                    mi accarezzano la mente

                    ora che tu non ci sei



                    Pensiero estinto

                    di vagabondo solitario

                    fra le lenzuola mi rigiro

                    cercando la tua mano



                    Frantumo il tempo

                    con macigli di ricordi

                    rallegro l'avvenire

                    col tuo viso sereno



                    Pioniere sorpreso

                    nell'oziare fra la sabbia

                    in questo deserto Africano

                    in questo deserto del cuore



                   Ma la mano la tendo

                   a te sovrana che seppur lontana

                   nel mio vagare

                   presto ti raggiungerò


venerdì 16 agosto 2013

La Ricerca della Felicità


 

     In più di un'occasione mi sono trovato a leggere o vedere, articoli e interviste relative all'economia mondiale che ci stà schiacciando. Penso sia evidente ai più che viviamo in una condizione di materialismo smisurata, tutto si muove in base al possesso. Accatastiamo ogni giorno dei beni inutili. Abbiamo molto di più di quello che ci può essere utile e nonostante questo siamo all'apice dell'infelicità. Evidentemente ci manca qualcosa di molto più prezioso.




LA RUBRICA DI BUKOWSKI


Avevo iniziato a scrivere quest'articolo l'undici Aprile di quest'anno.
Sono due anni che collaboro con Il Diario, un quotidiano nazionale tra i più venduti, e da circa la metà del tempo, occupo una rubrica settimanale che ho intitolato: La rubrica di Bukowski.
Avevo scelto questo nome un pomeriggio, dopo essere uscito dall'appartamento di una prostituta. Una donna cicciona, che approssimativamente doveva avere qualche anno in più di mia madre. Consumai il rapporto, ma in quel momento, mentre scendevo le scale, non riuscivo a smettere di chiedermi cosa diavolo spingesse quella donna a fare la prostituta.
Lo so, la domanda può anche sembrare banale e scontata, ma fu questo, il ripetermi insistentemente “ma che diavolo ci fa lei qui? E perché quell'uomo nonostante tutto ha scelto di dormire per strada? Possibile che l'unica soluzione fosse il suicidio?” che mi fece arrivare a capire il disorientamento di questa società, nonché il mio.
Bukowski; era il nome perfetto per una rubrica che ospitasse i miei articoli. Parlavo spesso di personaggi ai margini, ed ero convinto che quelle storie non fossero racconti di casi eccezionali, ma che ci appartenessero più di quanto noi pensassimo.
Ora stavo scrivendo un nuovo articolo, una denuncia sociale, ma il ventidue Aprile era un Giovedì ed io alle quindici e ventisette fui dichiarato morto.
Solo grazie alla crudeltà e cattiveria di mia moglie potei, sette giorni dopo, resuscitare e tornare alla vita.



UNA NUOVA VITA SENZA STRESS

The Venus Project.
Nella società di oggi raramente si sente qualcuno parlare del progresso del suo paese o della società in termini di benessere fisico, felicità, fiducia o stabilità sociale. Piuttosto le misure ci vengono presentate per mezzo di estrazioni economiche: Pil, borsa, inflazione...
Troppo spesso si pensa che il Pil sia correlato al benessere della gente; ma non è così. Ad esempio, un popolo malato fa aumentare l'economia.
Bisogna creare problemi per creare profitto. Il crimine è un affare; le prigioni sono un affare. Più la gente si indebita e più è schiava, governabile, e soprattutto, bisogna mantenere la disuguaglianza.
Si è notato in uno studio Australiano, che i paesi con meno disuguaglianza hanno meno violenza degli altri paesi. Dove c'è povertà ci sono più malattie, c'è più stress; e questo è il punto.
La natura è l'unica vera dittatura. Una nuova società, senza stress, che pensa alle risorse del mondo e non al denaro è l'unica alternativa. Un'economia senza denaro dove l'uomo ritrova la sua centralità.
Questo, miei cari lettori, la sintesi del progetto Venus; un mondo dove non c'è il fornaio che si alza alle tre del mattino per fare il pane, dove il contadino non prende la terra fra le mani e l'assaggia... Lo so forse sono rimasto un po' indietro, forse troppo romantico ma, come puoi vivere in mondo dove non c'è la poesia?

giovedì 15 agosto 2013

Fabrizio DeAndrè






     ...E' un mestiere il mio che credo potrebbe fare chiunque.
Non ho mai incontrato nessuno che non abbia scritto fra i 16 e 18 anni qualcosa, e qualche cosa anche di molto bello. Credo quindi che quasi tutti noi siamo degli artisti. Il fatto è che non abbiamo il tempo, non abbiamo le condizioni di opportunità per poterlo essere. E' molto difficile che una persona che lavora 8 ore al giorno al tornio, torni a casa e si metta a cercare di comporre una canzone...

Ci ho pensato molto a questo concetto. Non penso sia vero in assoluto, ma è senza ombra di dubbio una verità il fatto che siamo tutti artisti. Ognuno alla sua maniera, chi semplicemente nell'interpretare la vita, senza bisogno di dover scrivere o dipingere.
    Ma il talento? Questo penso sia un'altra cosa: non tutti lo abbiamo. Tutti siamo artisti, forse è vero, ma non tutti siamo Fabrizio DeAndrè.
Per cui è giusto continuare a scrivere e fare arte, più la si esercita e più ci si migliora; sperando - in fondo - di avere un po' di talento. 

mercoledì 14 agosto 2013

SENZATETTO

La notizia è un po' datata, è del 30 dicembre 2011: 

Clochard muore Aveva rinunciato a 250mila euro.

BOLZANO. Era morto la notte di Natale nel centro di Bolzano, lambito dalla fiamme di un fuoco acceso per far fronte al freddo.

Mi è venuto da pensare, da riflettere, certo ad alcuni può sembrare banale e scontato, facile fare battute di ovvia disapprovazione, ma comunque a me è venuta voglia di dare un volto a quell'uomo; e così è nato questo racconto.


 
SENZATETTO

     Scesi i tre gradini e posai le scarpe sul pavimento della stazione. Non era stato un viaggio particolarmente lungo, due ore, in cui pensai e ripensai come avrei fatto per trovarlo.
Annalisa era venuta con me, conosceva meglio la sua famiglia, sua madre, erano molto legate, forse mi sarebbe stata di aiuto.
Percorremmo il lungo corridoio che ci portò fin dentro la stazione di Milano, guardai l'orologio, alzando notevolmente lo sguardo, erano le sei del pomeriggio e non sapevo da dove iniziare. Certo, ero in uno dei luoghi più accreditati per trovarlo, la stazione, quale miglior posto? Mi guardavo furtivamente in giro, vedevo parecchie persone, sia uomini che donne, distese a terra, fra le colonne con una coperta gettata a coprirsi il corpo, erano senzatetto. Non faceva ancora molto freddo, ma le previsioni avevano detto che presto sarebbe peggiorato. Uscita dalla stazione mi trovai di fronte una grande piazza; seduti su quasi tutte le panchine, stranieri che bevevano birra e facevano un gran chiasso. Era Giovedì. Mi ero dovuta prendere due giorni di permesso per poter venire fino a Milano, ma glielo dovevo, ero l'unica a cui lo poteva chiedere e soprattutto che avrebbe accettato. Annalisa, per lei è diverso.
Alzai gli occhi al cielo e vidi una vicina, grande luna; mi venne da sorridere nel pensare che fortuna, era riuscita a farsi spazio fra questi grandi palazzi, era riuscita a trovare uno squarcio di cielo e porsi a me.

Percorsi via Scarlatti, attraversai via Settembrini e mi fermai all'hotel Cristallo; lasciai che la porta si aprì ed entrai, sempre seguita da Annalisa che ancora non si era fatta sentire. Presi le chiavi e salimmo fino alla camera numero trentaquattro; era fra gli hotel più luridi che avessi visto finora, ma la cosa non mi turbava. Mi affacciai al balcone cercando la luna, ma non si vedeva, abbassando lo sguardo notai attraverso la finestra di fronte un uomo, al pianoforte. Indossava un cappello, stile anni sessanta, la barba lunga ed il capo che ondeggiava, mi lasciai cullare per un poco poi mi voltai verso Annalisa e le chiesi come intendesse muoversi.
Lei senza ancora guardarmi, aveva posato la borsa sul letto, scegliendo quello di destra, accostato al muro, si tolse la giacca e fece per avviarsi in bagno, mi guardò – iniziamo a chiedere a qualcuno, alla stazione, se magari lo conosce, poi vediamo. Vado un attimo in bagno e usciamo.
Mi rivoltai verso il punto in cui c'era quell'uomo, era ancora lì, le sue mani non le vedevo bene ma sentivo, percepivo il tocco sui tasti, la grazia con cui suonava, l'amore che cercava e forse volutamente non trovava. Ma perchè gli uomini sono così complicati, perchè si fanno prendere dagli ideali e non ne riescono più ad uscire? Pensai a mio marito, rimasto a casa coi bambini e mi venne un po' di stizza ora a ricordare la sua risata quando gli dissi che Maria mi aveva chiesto, poco prima di morire, di ritrovare il figlio e dirgli che tutta l'eredità era sua, che poteva e doveva smettere di essere un barbone, un senzatetto; che lui, oltre un sacco di soldi, aveva pure parecchi tetti. Mi rise in faccia e scosse la testa, dicendomi – non lo troverai mai, e comunque lascialo morire per strada quel disgraziato che alla fine se l'è cercata lui quella vita. Nessuno lo ha obbligato. Sua madre gli aveva offerto ogni ben di Dio e lui aveva rifiutato, che se ne stia a crepare dal freddo.
Ma un uomo non può capire le tragedie dell'amore e Giovanni aveva vissuto una terribile tragedia dopodiché decise di tornare libero, finalmente lontano da tutti, dalla finzione, dall'inutile spreco dei giorni e dei sentimenti. Ora poteva piangere serenamente. Ma un uomo sano di mente non può capire.

Dovetti saldamente aggrapparmi alla corda.
La cima era legata alla ragione, ed il resto rimaneva sospeso sopra l'abisso della follia, non potevo guardare in basso per non rischiare di cedere e cadere, di nuovo. Perchè tutto, tutte le emozioni nascono da laggiù, da quel profondo infinito abisso che è la follia.


    Mi sento uno scrittore da quando avevo all'incirca tredici anni; mio padre mi regalò una macchina da scrivere, non saprei ricordare il modello, ricordo solo il forte suono dei tasti e di quando andavo a capo.