martedì 17 settembre 2013

AUGURI


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La rabbia faticava a svanire.
Antonio se ne stava seduto sul divano con lo sguardo rivolto alla finestra chiusa. Aspettava il giorno, attendeva il sorgere del sole per affacciarsi a questa nuova giornata che avrebbe sicuramente risvegliato in lui antichi ricordi.
Aveva lo sguardo fermo, fisso, ancora arrabbiato; nonostante fossero passati vent'anni non l'aveva perdonata o forse, il risentimento per ciò che aveva perduto era più forte del vissuto. Si era logorato sulle possibilità perse da allora fino ad oggi: vent'anni. Non si era costruito più nulla di vero; giocava con le persone e con la sua stessa vita, non era riuscito a saltare il fosso, ma bensì ci era precipitato dentro. Il rancore lo aveva reso inerte davanti ai suoi desideri, era mutilato, storpio, monco.
Il sole si insinuò fra le persiane, un raggio lo colpì in volto, quest'oggi aveva deciso di porre fine al suo martirio, avrebbe cancellato quell'astio e si sarebbe riappacificato con entrambi: con lei, ma soprattutto con se stesso.
La collera gli bruciava dentro, più pensava a questa data, più si avvicinava a quella “fede”, più gli si smuoveva dentro un'incontrollata sensazione di vendetta, il tempo non aveva cancellato nulla; era troppo il dolore che aveva dovuto sopportare per colpa sua, di quel gesto egoistico. Antonio si era ritrovato a scavare nel passato, nella sua infanzia per sradicare quelle radici malate, ma lei non aveva fatto altro che sollevare la polvere ed uscirsene dopo poco per prendere una boccata d'aria fresca.
Spense il fornello quando ormai era già tardi, il caffè era uscito dalla moca ed aveva imbrattato tutto il piano cottura, non si mise a pulire ma si limitò a versare nella tazzina quel poco caffè rimasto. Uscì di casa, raccattò la bici dall'atrio del condominio e si allontanò da quelle poche certezze che si era sempre tenuto ben saldo.
Pedalava, e più pedalava più i pensieri si infoltivano, non riusciva più a distinguere le colpe che lui le aveva sempre attribuito, dalla sua paura di ammettere la propria debolezza, la propria incapacità ad affrontare le insicurezze del suo animo.
Si fermò di fronte ad un palazzo di due piani, squadrò il grosso portone chiuso e successivamente alzò lo sguardo fino ad una finestra aperta con un vaso di gerani in fiore sul davanzale.
Il completo caos che lo circondava, dagli ambulanti che vendevano verdura, ai rombi delle auto per finire alle grida dei bimbi che andavano a scuola, non scuotevano quel completo silenzio che gli regnava dentro. Avrebbe messo fine a quella cattiveria, oggi doveva fare in modo di contrastare quel senso di colpa che si portava dietro.
Non sapeva chi avrebbe trovato dietro a quella porta, ma a lui non importavano le persone, in questo momento aveva l'ambizione di disotterrare il cadavere del suo passato e magari riportarlo alla vita regalandosi così un po' di felicità.
Bussò alla porta, un giovane ragazzo gli aprì, serio e crucciato, non gli disse nulla, non lo invitò ad entrare, ma Antonio già si era fatto spazio fra lui e lo stipite della porta entrando. Percorse buona parte del corridoio, poi si fermò inginocchiandosi e prendendo dalla busta che portava con sé, mazzetta e scalpello, iniziò a picchiare sulla mattonella.
Il ragazzo iniziò a gridare, gli si avvicinò: “Guardi che chiamo la polizia, ma cosa diavolo sta facendo, questa è casa mia, ma cosa fa non vede che rompe tutto? Adesso la faccio arrestare!”.
Antonio continuava, con gesto ripetitivo a picchiare quella mattonella, la frantumò arrivando al massetto. Continuò a picchiare.
Il ragazzo si era allontanato, forse per telefonare, quando sbucò dalla stanza vicino una signora che senza dire nulla rimase ferma a guardare Antonio.
Vuole che le prepari un tè?” chiese la signora con tono cordiale.
Antonio si arrestò un momento, la guardò, poi ricominciò a demolire il massetto.
La signora entrò in cucina e mise sul fornello un brico con dell'acqua.
Non ci mise molto Antonio a recuperare la sua fede, conosceva bene il punto, era tornato vivo il momento in cui si sfilò, vent'anni addietro, la fede dall'anulare e la mise fra il cemento del massetto che stava facendo. La prese fra le mani e se la guardò, ci soffiò e se la strofinò sulla camicia, poi ci lesse la data, il nome; e si alzò.
Entrò in cucina, dalla stanza a fianco si alzò un suono di pianoforte; Antonio si mise seduto di fronte ad una tazza fumante di tè. Aveva trovato ciò che cercava, mancava un ultimo gesto e sarebbe, finalmente, tornato libero, forse fra poco tutta la sua rabbia sarebbe svanita, forse avrebbe pianto e a sessant'anni quel pianto sarebbe servito.
La signora gli si mise di fronte, lo guardava; Antonio le prese la mano e le infilò l'anello al dito.
Auguri” e così dicendole si alzò in piedi, percorse il corridoio e si chiuse la porta alle spalle. Si tolse la polvere dai pantaloni e respirando quella nuova aria del mattino salì sulla bicicletta con il peso dei suoi sessant'anni.

di Milos Fabbri


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