sabato 28 settembre 2013

Italo Calvino

Scrivere andando a serie: Italo Calvino.
Articolo di: Emanuela Bruco - Letteratu.it

Scritto il 26 settembre 2013

Se Italo Calvino fosse ancora qui, criticherebbe aspramente tutti quelli che, come me, si sono cimentati nel regalare all’universo mondo della letteratura una sua biografia. Come Croce, infatti, Calvino credeva che i dati biografici non fossero importanti per la carriera di uno scrittore, ma piuttosto sperava che lettori e critici guardassero solo ed esclusivamente alle sue opere. Per questa semplice ragione, in una lettera a Germana Pescio Bottino, affermò senza troppe cerimonie che i dati personali che dava -se li dava- o erano falsi oppure cercava di cambiarli di volta in volta. Se Italo Calvino fosse ancora qui, verrebbe attanagliato da un’ansia nevrotica al vedere la propria vita fissata e oggettivata in uno strumento di tortura quale è la biografia.

Italo Calvino nasce il 15 Ottobre del 1923 a Santiago de Las Vegas, una piccola città presso l’Avana, ma due anni più tardi farà ritorno in Italia con la sua famiglia per vivere a San Remo. Dal 1934 al 1942 frequenta il liceo ginnasio G.D. Cassini e dopo aver conseguito la licenza liceale (gli esami di maturità furono sospesi a causa della guerra) si iscrive alla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino e l’anno successivo si trasferisce alla facoltà di Agraria e Forestale della Regia Università di Firenze. Finita la guerra, nel 1945, si iscrive alla facoltà di Lettere di Torino, si laurea nel 1947 e, sempre nello stesso anno, Einaudi lo pubblica in ottobre nella collana I Coralli con il Sentiero dei nidi di ragno. Nel 1949 esce la raccolta di racconti Ultimo viene il corvo. La pubblicazione de Il Visconte dimezzato nella collana I gettoni di Vittorini, ottiene un notevole successo, ma genera reazioni contrastanti nella critica di sinistra. Tra il Novembre del 1956 e il 1959 escono le Fiabe italiane, Il barone rampante, La speculazione edilizia, La nuvola di smog e Il cavaliere inesistente. Il boom economico italiano coincide con l’esplosione di pubblicazioni delle opere fra le più importanti di Calvino, quali La strada di San Giovanni (1962), Marcovaldo (1963), La giornata d’uno scrutatore (1963), Le Cosmicomiche (1965), la Formica Argentina (1965), Ti con zero (1967), La memoria del mondo (1968), Il castello dei destini incrociati (1969). È il giugno del 1970 quando nella nuova collana einaudiana degli Struzzi esce Gli amori difficili. Il 1972 e il 1979 vedono la pubblicazione di due nuovi figli: Le città invisibili e Se una notte d’inverno un viaggiatore. Ultimi regali del suo genio sono Palomar (1983), Collezione di sabbia e Cosmicomiche vecchie e nuove (1984). Colpito da ictus il 6 settembre del 1985, viene ricoverato e operato all’ospedale Santa Maria della Scala di Siena. Muore in seguito a emorragia celebrale nella notte fra il 18 e il 19.

La personale storia di Calvino è segnata da una netta e precisa linea che divide l’Italo idealista da quello borghese, stacco che ha inciso profondamente nella sua produzione letteraria. Se, infatti, fra le pagine del Sentiero dei nidi di ragno (pregne del puzzo di sudore e di una gelida e muffita soffitta torinese, il rumore ovattato di una cinghia tirata e l’amarezza in bocca che lo porta a definire lo scrivere come “il più squallido e ascetico dei mestieri”), troviamo le incerte posizioni ideologiche sospese tra il recupero polemico di una scontrosa identità locale, un confuso anarchismo, il risveglio di un antifascismo clandestino alla luce di discussioni e scambi epistolari con Eugenio Scalfari e i ricordi del suo attivismo partigiano, allora diversamente si colloca l’atteggiamento ispirato a un razionalismo metodologico che emerge –ad esempio- nel Marcovaldo e in Il visconte dimezzato. C’è il passaggio da attivista politico a spettatore della politica (pur esprimendo alcune simpatie), il voler diplomaticamente tacere che, sul piano letterario, si traduce in un voler mantenere intatto il credito senza divulgare la sua verità e, quindi, l’adeguamento a nuove mode stilistiche (la Neoavanguardia, tanto per citarne una). Nasce in Calvino il gusto per l’ironia, l’interesse per le scienze e i tentativi di spiegazione del mondo e fiorisce il suo periodo fiabesco ben lontano dal terrore, dalla morte, dai rumori della Guerra. Percorre, infatti, sempre di più la strada dell’invenzione fantastica: l’impianto è ormai totalmente abbandonato al fiabesco e la narrazione procede secondo due livelli di lettura; quello di immediata funzione e quello allegorico-simbolico in cui sono presenti numerosi spunti di riflessione (su tutti, i contrasti tra realtà e illusione o tra ideologia ed etica). Di pari passo, Calvino continua comunque un tipo di narrazione che descrive la realtà quotidiana. Riprende ad esaminare il ruolo dell’intellettuale nella società, constatando la sua assoluta impotenza di fronte alle cose del mondo. Ma è la produzione ultima, il crepuscolo dei suoi giorni, che svelano l’autenticità della sua personalità; e quella linea che aveva reso Calvino bipolare, che aveva diviso in due diverse regioni il suo percorso personale e intellettuale, viene cancellata con un colpo di gomma e salta fuori un nuovo modo di fare letteratura, intesa ora come artificio, ora come gioco combinatorio. Questa nuova produzione fa riapparire Calvino non solo vero, ma più vero che mai. I “due Calvini”, quindi, quello che è stato ragazzo radioso, cristallino, disposto a fare cose belle e resistenti, e quello che ha aderito alla Neoavanguardia, ed è stato impotente intellettuale, vengono riconciliati dal vecchio (e perciò nuovo) Calvino per cui <<i desideri sono ricordi>>.
La cultura specifica di Calvino […] liberatasi dalla sua funzione, dai suoi doveri, è divenuta come una miniera abbandonata, in cui Calvino va a prelevare i tesori che vuole.
Che cosa vi preleva? […] Tutte le città che Calvino sogna, in infinte forme, nascono invariabilmente dallo scontro tra una città ideale e una città reale: questo scontro ha il solo effetto di rendere surrealistica la città reale, ma non si risolve storicamente in nulla. I due opposti non si superano in un rapporto dialettico! La lotta tra essi è ostinata e disperata quanto inutile: il tempo fa da paciere trascinando tutto con sé in una dimensione completamente illogica, che risolve problemi diluendoli all’infinito, distruggendoli fino a farne dei rottami a loro volta surreali
[P.P. Pasolini, Italo Calvino, “Le città invisibili”, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, I Meridiani Mondadori, Milano 1999, t. II, pp. 1724-30]

Crea un nuovo tipo di narrazione, Calvino, capace di generare dei mondi illusori, ma che non può distruggere la realtà che ci circonda. Lo scrittore, però, non ci lascia senza pharmakon, regalando in eredità ai lettori quello che può essere considerato parte di un suo testamento dopo una vita piena di soddisfazioni:
L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
[Italo Calvino, Le città invisibili, 1972]

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