IL
NUBIFRAGIO
La
goccia che lo fece traboccare fu l'alluvione, Genova fu invasa
dall'acqua proprio mentre lui si stava accomodando a tavola, la
moglie era già seduta da circa cinque anni, non poteva più
camminare in seguito ad un incidente; era stata investita da un auto
che nemmeno si fermò per soccorrerla, e questo le costò la
paralisi. Aveva anche una serie di altri problemi più lievi, ma di
sicuro l'animo era quello che più del corpo aveva perso vitalità.
Santo
Guglielmino era ottantenne e proprio tre giorni addietro c'era stata
la ricorrenza dei sessantasei anni di matrimonio con Giuseppa Lo
Bianco che ne aveva due in meno del marito ed era originaria di
Catania.
Guardavano
entrambi fuori dalla finestra, pioveva, pioveva che Dio la mandava,
ed entrambi pensavano la stessa cosa, si scambiavano ben poche parole
ma si capivano, avevano trascorso la vita insieme, si conoscevano
dall'età dell'adolescenza; da quando in seguito, Guglielmino la
passava a prendere al mulino in lambretta e lei ci saliva compiaciuta
sedendosi con entrambe le gambe sul lato destro, così, tanto per non
far ancora alzare la gonna.
Pensavano
al torrente Fereggiano che scorreva poco lontano dalla loro
abitazione, al loro quartiere Marassi che nulla avrebbe potuto fare a
quell'inondazione.
Posò
tre polpette sul piatto della moglie, poi ne accomodò altrettante
sul suo ed infine ripassò con il sugo. Si versò mezzo bicchiere di
vino rosso e lo allungò con l'acqua. La moglie ora lo guardava, era
stanca, stanca di una vita che non le aveva offerto altro che
sofferenza; sesta di nove figli, non aveva potuto studiare e nemmeno
giocare, a quell'età, quando gli altri bambini giocavano e andavano
a scuola, lei faceva pascolare le pecore. Giuseppa di sogni ne aveva
tanti come tutte le bambine di sei anni ma non li avrebbe mai visti
realizzati. Nemmeno quando incontrò quell'uomo che la prese e la
portò via dalla campagna, sposandola; anche allora la sua vita
rimase misera.
Lui ricambiò lo sguardo e capì quello che la moglie gli stava trasmettendo, ma non poteva, non ne aveva la forza, il coraggio; e poi pensò a sua figlia ormai adulta, che aveva deciso di vivere nella grande Milano e li aveva lasciati lì, soli, con la loro vecchiaia, la loro solitudine. Lei aveva fatto una scelta, aveva sposato un uomo benestante, un borghese e si era lasciata alle spalle i suoi sogni, in cambio di una vita modesta, di un'alternativa alla miseria dei genitori.
Ormai
erano due famiglie distinte, lontane; ognuna pensava per sè senza
essere dipendente dall'altra, proprio come il padre le aveva
insegnato: l'indipendenza. Ma ora, Guglielmino avrebbe voluto un po'
di riconoscenza, ora che era vecchio forse, si accorgeva che la
famiglia serviva in questo momento, in questi anni così difficili.
Il
fiume straripò che erano le dodici e diciassette minuti, allagò
tutto il quartiere, quattro metri d'acqua invasero le strade, le
case; spazzò via auto e tutto quello che incontrò lungo il
percorso. Alla sera il bilancio era di sei vittime.
Guglielmino
e Giuseppa abitavano al quinto piano di un complesso di vecchie case
popolari, videro la marea passare dalla finestra e si spaventarono ma
non avevano più paura della morte, anzi l'aspettavano insieme, come
insieme avevano percorso le strade della vita, così se ne sarebbero
andati, volando mano nella mano.
Alla
sera tardi, erano circa le ventuno, la televisione accesa trasmetteva
ancora notizie sul disastro avvenuto nel pomeriggio a Genova,
Guglielmino chiamò la figlia visto che lei ancora non si era fatta
sentire, non tanto per dirle che era tutto a posto, che ancora per il
momento erano vivi ma soprattutto per sapere come si era sviluppata
la faccenda relativa al censimento dell'Atc. Guglielmino era molto
preoccupato in quanto pochi mesi fa, aveva ricevuto una lettera con
un modulo da compilare ma non avendo capito di cosa si trattasse lo
lasciò nel dimenticatoio del cassetto e cosi si videro aumentare
l'affitto da ottantadue a quattrocento euro. Non se li potevano
permettere.
La
figlia gli rispose che sicuramente si sarebbe sistemato tutto, era
solo un errore da verificare, ed era contenta che stavano bene. Lo
salutò dopo pochi minuti.
Giuseppa
lo guardò, "dice che ti saluta, domani ti chiama" e di
nuovo rivolse lo sguardo al televisore. Guglielmino si mise seduto
vicino alla moglie e posò la mano sulla sua, facendole girare la
fede che teneva al dito.
Sessantasei anni trascorsi assieme sembrano solo un
numero ma sono ben altro; entrambi guardavano lo schermo che
trasmetteva le stesse immagini da ore, ma nessuno dei due ne era
preso veramente, pensavano alla loro fine, alla morte. Pensavano a
quanta vita avevano trascorso cercando di campare il giorno dopo,
tutto il tempo presente era usato in facoltà del giorno seguente:
come facciamo a mangiare domani? Come facciamo a far studiare la
giovane Sofia? La casa? La pensione che non bastava mai. Guglielmino
si era dato sempre molto da fare, non aveva visto crescere la figlia
e faceva l'amore con la moglie nemmeno tre volte al mese, ma non si
lamentava molto, era un uomo pacifico e di poche aspirazioni.
Venne
il mattino seguente, lungo le strade c'era un silenzio spezzato solo
da ruspe e vanghe, buona parte dei cittadini era già in strada a
togliere il fango. C'era una pioggerellina che infastidiva ma non
preoccupava. Guglielmino era sceso in strada, si stava recando alla
farmacia per comprare le solite medicine, ma la farmacia comunale del
quartiere era chiusa. Si incamminò lungo i portici, il suo sguardo
veniva continuamente rapito dalle auto accatastate una sull'altra,
pensava alla forza di quella marea, pensò, e decise che quello era
il segno che gli avrebbe dovuto dare la forza; erano morte sei
persone tra cui tre bambini, perchè, si chiedeva indispettito non
poteva essere capitato a lui e alla moglie? Perchè la morte è così
cieca di fronte al dolore?
Non
si accorse di aver oltrepassato una farmacia aperta, ma non gli
importava, non avrebbe comprato, per questa mattina, le medicine, non
servivano più. Si mise seduto, al primo bar aperto che incontrò,
ordinò un bianchetto e lo rimase a guardare, pensava, scorreva la
sua vita, aveva ottantasei anni e gli unici ricordi vivi che
reggevano al tempo erano quelli più vecchi, la sua adolescenza, la
giovinezza.
Bevve,
svuotò il bicchiere senza aver aggiunto l'acqua e si sentì un po'
più forte, quasi sorrise.
Tornò
a casa, salì le scale e si tolse il cappotto, il berretto. Li ripose
nell'attaccapanni.
Si
avvicinò alla moglie e la guardò, socchiuse gli occhi e la portò
fuori sul balcone.
Lei
non disse nulla, gli appoggiò la mano senza voltarsi sulla sua e
rimase serena aspettando. Lui con tutta la forza ed un gran magone
alla gola riuscì ad alzarla, appoggiarla alla ringhiera e darle un
bacio fra i capelli. Si chinò sulle ginocchia e le strinse forte i
polpacci, poi si rialzò e non la vide più.
Si
sentì gli occhi gonfi, pronti a straripare, ma aveva paura, paura di
piangere, perchè se si sarebbe lasciato andare, se avesse pianto,
avrebbe allagato nuovamente tutta Genova.
Prese
il telefonino in mano e schiacciò il tasto dove era disegnata una
cornetta verde, partì la chiamata verso la figlia. Era l'unico
numero nel telefonino, nessun altro, nemmeno il medico. Quando
rispose, non disse null'altro: "Ho ucciso tua madre, ed ora me
ne vada anch'io, ciao".
Tornò
sul balcone, guardò sotto, c'era già qualche curioso che circondava
il corpo della moglie, non voleva aspettare un secondo di più, non
voleva starle così lontano e si gettò nel vuoto per tornarle
nuovamente accanto.
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