mercoledì 23 ottobre 2013

SEXSOMNIA

Da Una nuova vita di Milos Fabbri.


Marta era di nuovo fuori di sé.
  • Vattene dalla tua puttanella, lei ti capisce no? Tornatene da dove sei venuto. Quanto sono stata stupida. Com'è che le hai scritto? Mi manchi, buone feste. Cosa cazzo ti manca? Vattene da lei, cosa fai ancora qui?
  • Che ti ho fatto stavolta, perché non te ne stai un po' calma, Marta vieni qui, rilassati.
  • Cosa hai fatto? Quello che fai sempre e nemmeno te ne accorgi; ma è normale perché tu sei così e non cambierai mai!
Marco espirava profondamente cercando di rimanere calmo, di non far precipitare la situazione, ma il suo occhio era spento seppur sereno, sconsolato seppur fermo nel voler riuscire a non disperare.
Marta era in piedi, con lo sguardo rivolto al marito, con le mani che gesticolavano nervosamente ed una voce carica d'odio. I riccioli neri che le ricoprivano il capo erano energici, era da poco uscita dalla doccia ed emanava un buon profumo di vaniglia e acerola, era arrabbiata, perché il marito voleva fare l'amore con lei, voleva sempre fare sesso ma non si degnava mai di un abbraccio, di un bacio, di una parola d'affetto.
  • Ma non è vero Marta, sempre con 'sto mai, io non capisco chi ha inventato il sempre e il mai, che bisogno ce n'era? Che bisogno hai di arrabbiarti?
  • Mi arrabbio, perché mi sono rotta, tornatene da quella puttanella che ti manca tanto, e fallo con lei sesso.
    Così dicendo Marta lasciò presupporre il silenzio, ma dopo una breve pausa si mise ad imprecare passando da una stanza alla cucina e fermandosi in sala si sedette sul divano. Accese la televisione e si mise gli occhiali.
    Marco le passò vicino per andare fino in cucina a riempirsi un altro bicchiere di vino.
    Non si dissero nulla ma si guardarono con la coda dell'occhio.
    La sera verso le undici si rincontrarono a letto, Marta era già stesa che leggeva, Marco si mise il pigiama e le si accostò. Venne respinto per due volte. La terza abbassò il tiro e posò delicatamente la mano sulla coscia. Per qualche minuto poté godere di quel tatto immobile, poi, venne allontanato.
    La notte trascorse come al solito, dormendo; ma più volte Marco, svegliandosi ed allungando la mano verso la parte sinistra del letto, non sentiva nessun contatto, nessun calore. Pensò che la moglie, arrabbiata, fosse andata a dormire sul divano, ma era stanco e non andò a controllare.

Al mattino Marco aprì gli occhi che la sveglia ancora non suonava, si voltò verso Marta e la vide accucciata che dormiva. Le si avvicinò e l'abbracciò. Marta fece solo un lamento innocuo, per cui rimase in quella posizione e le annusò i capelli. Erano ancora profumati, ma subito gli venne da starnutire. Marco trovò fra i capelli della moglie del polline di tiglio. Lo tolse e lo gettò al bordo del letto, poi baciò la moglie e si preparò per uscire.
Era un giovedì mattina e se Marco non si accorse o non diede importanza ad alcuni episodi, non poté fare a meno di soffermarsi sul marciapiede appena fuori dal cancello. C'erano tre preservativi gettati a terra sul fianco destro della recinzione, ed altri, poco lontano. Marco non capiva come potessero essere lì. Quello non era certo un luogo per coppiette. Ma era un giovedì mattina come tanti altri, aveva fretta ed aveva ancora addosso la sonnolenza del primo mattino; chiuse il cancello e non ci pensò più.


Le sera, dopo l'ennesima sfuriata della moglie, dopo una continua astinenza che proseguiva da settimane, Marco si coricò. Era stanco, ma questa volta, durante la notte, nel sentire il fianco sinistro del letto vuoto, si alzò.
Camminò scalzo per le stanze; in bagno la moglie non c'era, il divano era vuoto, buio in cucina. Marco si affacciò alla finestra, il cielo era sereno, macchiato solo da poche nuvole; abbassando lo sguardo si accorse di certi movimenti in giardino, vide la moglie passeggiare sul viottolo e poi sul marciapiede con qualcuno. Marco uscì di casa di fretta, ancora scalzo e poco vestito, ma non ci fece caso. Raggiunse la strada e si guardò attorno, dapprima non vide nessuno, ma poi sentì dei gemiti, delle parole che gli catturarono l'attenzione; si avvicinò e vide la moglie, con le gambe aperte e gli occhi chiusi. Un uomo era su di lei. Marco si stava avventando su quell'essere, qualcuno stava violentando la moglie, ma bastarono pochi secondi per capire che non c'era violenza. Marta se ne stava lì, paciosa.
Stupore, rabbia, Marco guardava la moglie incredulo, lei se ne stava muta come in tranche, l'uomo era fuggito. Marco si avvicinò e la strattonò, le parlava ma lei non rispondeva, era come se non fosse presente fin quando, finalmente, si ridestò e si spaventò. Si vide seminuda, per strada, vide la collera del marito dipinta sul volto, ma ancora non capiva cosa stava succedendo, non ricordava nulla.

Venne fuori che la moglie soffriva di sonnambulismo, ma non di una forma canonica del disturbo del sonno; Marta era afflitta dalla voglia di fare sesso durante il sonno, da sonnambula.
Marco non credeva ad una sola parola della storia raccontata dalla moglie, non credeva che era possibile fare sesso senza esserne consci, mentre si dormiva. Non era possibile che lei non si accorgesse di niente.
Se prima di questo episodio il matrimonio era in bilico, dopo precipitò dolorosamente nella separazione. Marco non poteva vivere con una donna che allontanava il marito dal letto e poi si andava a scopare chissà quanti uomini per strada, con la scusa del sonnambulismo sessuale. Marta cercò di convincere in tutti i modi il marito che il suo era un disturbo, non una assurda menzogna.
Si fece visitare da un medico, il quale le spiegò che il suo era un caso raro ma ben assodato, veniva chiamato sexsomnia e le conseguenze le conosceva.
Marta cadde in un vortice di sconforto, non sapeva di questo disturbo, non sapeva di esserne malata, ed ora, cosa fare? Il medico le disse che si poteva curare con poco, qualche goccia e il sonno si sarebbe acquietato.
Il marito non volle saperne, non era possibile, secondo lui, che una donna si facesse penetrare senza rendersene conto, non si fidava più, non si era mai fidato delle donne, di qualcosa – come diceva Mr. Garrison – che sanguina per cinque giorni e poi non muore.

Marta stava guidando ma non aveva nessun posto dove andare, era ubriaca, come le accadeva spesso, in queste ultime settimane. Frugò nella borsetta e ci trovò il cellulare, chiamò il 113.
  • Buona sera.
  • Qualcuno decisamente ubriaco sta guidando per viale Baccarini.
  • Va bene signora, lei sta seguendo loro oppure...
  • No, no, io sono loro.
  • Lei è loro?
  • Sí io sono loro.
  • Cioè lei sta chiamando per denunciare il fatto che sta guidando ubriaca?
  • Si.
  • Ok, allora accosti e spenga il motore, le mando subito una pattuglia.

Marta non era lontano da casa, accostò l'auto ed attese. Rimase lì, ferma, inebriandosi col profumo dei Tigli. Vide i lampeggianti blu avvicinarsi e l'auto si fermò proprio dietro di lei. Scesero due poliziotti, ridevano, erano stati avvertiti della situazione. Bussarono alla portiera, Marta scese dall'auto e senza capirne il motivo vide i due poliziotti stupiti che si guardarono fra loro.
  • Bene, bene, ecco qui la nostra cara puttanella.
    Marta seppur ubriaca ebbe un sussulto di paura, cosa diavolo stava succedendo?
    Il poliziotto le si avvicinò e le posò una mano sulla coscia poi salì fino alll'inguine. Marta si scostò bruscamente, ma intervenne l'altro poliziotto che la bloccò per un polso.
  • Che ti succede puttanella, sei sempre stata tanto docile, perché oggi fai la difficile? Vieni qui che ti prendiamo in due come l'ultima volta.
    Marta ebbe un bagliore di lucidità e pensò di aver capito quello che stava succedendo, cercò di spiegare, di dire che era affetta da una rara forma di sonnambulismo, Marta si agitava cercando di non essere travolta, ma figuriamoci se dei maschi possano credere che una donna si faccia possedere senza rendersene conto; e così fecero.
    La violentarono e la lasciarono china, a terra, piangente.

E Marta pianse, pianse pensando all'assurdità di tutto questo, all'assurdità di quello che le era capitato, di questo insensato scherzo che il sonno le aveva giocato.


di Milos Fabbri 

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