giovedì 29 agosto 2013

IL PETTIROSSO


IL PETTIROSSO



Penso al sospiro che fece quando senza più notarmi si chiuse la porta alle mie spalle. Sicuramente fece un lungo sospiro e si disse un poco sconsolata: fatto un altro.
Avrà ricontato i soldi, forse messi in un barattolo vuoto e si sarà mangiata un biscotto; si sarà lavata, asciugata e profumata, per il prossimo cliente o solo per se stessa. Probabilmente avrà di nuovo sospirato, un sospiro più breve, conosciuto, non tanto perché fosse stanca; ma come a dire fatto un altro.
Ed io invece guidando mi torno a casa e sospiro, un po' penso hai soldi spesi ma poi mi porto le labbra al naso e quell'odore mi da' piacere. Sospiro e penso a quanti siamo in questo momento a sospirare.
L'auto procede, i miei pensieri si fermano, ma ecco che noto nel centro della strada qualcosa, ancora non lo distinguo e poi ecco si lo vedo un uccellino morto. Non sembra schiacciato, faccio pochi metri e riesco a trovare uno spiazzo per fare inversione, ancora qualche metro e di nuovo, inversione. Mi fermo, e senza che nessuno mi veda faccio una piccola corsa per recuperare il defunto pettirosso. Lo poso dietro, ai piedi del sedile e riparto. Faccio però poca strada perché di nuovo l'andatura vien fermata, stavolta da una pattuglia che, paletta alla mano mi fa segno di accostare. Abbasso il finestrino dopo aver spento l'auto, il carabiniere si avvicina ancora di più e mi guarda negli occhi, "patente e libretto" ed il suo sguardo ancora persiste. Allungo la mano verso lo sportello del parabrezza poi nel portafoglio; gli allungo entrambi i documenti e lo fisso anch'io come a dire beh che vuoi? E penso, penso a questo innato odio che nutro contro la legge, contro i tutori della legge.
Il carabiniere si allontana, posa i documenti nel retro dell'auto, sul ripiano dello sportello aperto, fa i suoi soliti controlli di routine e poi si incammina verso di me. Si piega un poco e mi dice di scendere dall'auto. Chiaramente scendo, lo seguo per alcuni passi e sento che, senza voltarsi indietro mi dice che devo fare l'alcol test. Rimango stupito, non capisco, ma come... l'alcol test.
"Guardi che sono le tre del pomeriggio e sto andando a prendere mio figlio all'asilo, ho appena finito di lavorare, che vuole che abbia bevuto? Ma non vede che sto bene? Se è per quest'occhio, guardi che è solo un po' di congiuntivite". Dentro di me un poco titubavo, ero uscito a mezzo giorno dal lavoro, avevo mangiato una pizzetta con una birra e mi ero fatto un caffè ed un unicum, poi ero passato a fare la spesa e mi ero fatto ancora un caffè ed altro unicum.
Non sono più molto accondiscendente, ora sono incazzato. Il carabiniere si inchina ed entra nell'abitacolo, io attendo e penso; penso che devo andare a prendere mio figlio, che ho gettato novanta euro per farmi una scopata, che ho dentro l'auto un pettirosso morto. Bestemmio. Lo volevo mettere ai bordi del marciapiede e mentre Mattia ci passava accanto dirgli: "Guarda, un uccellino" e lui si sarebbe entusiasmato, spaventato; avrei comunque destato in lui un'emozione; si sarebbe avvicinato e nel notare che non si muoveva gli avrei detto che era morto, una macchina lo aveva investito mentre volava.
"Prego" mi dice il carabiniere riportandomi alla realtà "soffi qua dentro" e allungando la mano mi porse un oggetto piccolo e poco invitante. Lo guardavo, non capivo come poteva avvenire tutto questo in questo momento; lo presi, me lo portai alla bocca ed eseguendo le indicazioni del carabiniere, ci soffiai dentro.
Attendo qualche minuto, mi guardo attorno, faccio per allontanarmi quando sento una voce che mi dice che non posso più guidare, mi devono ritirare la patente. Inizio cercando di spiegare che... ma non ho voglia di stare a pregare, elemosinare. Chiudo gli occhi e abbasso la testa.
"Questa è la procedura, mi spiace". Ti spiace un cazzo, pensai, e adesso chi va a prendere mio figlio, e adesso chi lo dice a mia moglie. Adesso sospiro.
Mi avvicino alla mia auto e faccio per metterla in moto, ma il carabiniere prontamente mi raggiunge e mi chiede che diavolo sto facendo, mi ammonisce dicendo che non posso guidare.
"Lo so" rispondo io "ma volevo spostarla un po' più di lato e poi me ne vado a piedi".
"No, no, lei non può guidare, forse non ha capito" mi ripete, ma io certo che ho capito mi sembrava oltre si ovvio che avrei potuto almeno spostarla; ma cosi non era.
Scendo dall'auto, tolgo le chiavi, prendo ciò che mi serve e richiudo lo sportello. Mi avvio, mi incammino a piedi. Il carabiniere mi guarda e mi chiama, io non mi volto e cammino, io cammino e me ne vado.
Per fortuna era presto, avevo ancora tempo; la mia mente era stordita, non certo dall'alcol quello nulla aveva provocato di anomalo, ma da questa situazione irreale. Arrivai all'asilo che mancavano dieci minuti alle quattro, suonai il campanello e sorrisi a mio figlio; gli infilai la giacca i gli misi lo zainetto. Ci incamminammo.
"Ma la macchina dov'è babbo?"
"Sono venuto a piedi, vieni che ci facciamo una passeggiata, quando sei stanco ti prendo sulle spalle, dai vieni, come è andata all'asilo?"
Camminammo, Mattia si fermava spesso a raccogliere i fiori, io mi annusavo le labbra e ancora pensavo a quel corpo nero e duro, e finalmente sorridevo; pensavo un po' a quella puttana, un po' a quelle teste di cazzo di carabinieri, poi guardavo mio figlio ed infine distoglievo lo sguardo su quelle montagne che circondavano questa città.
Ripercorsi tutta la strada in verso opposto finché giunsi alla mia auto. La pattuglia se ne era andata, probabilmente non aveva più un'area di sosta visto che era occupata tutta dalla mia macchina. Mattia se ne accorse e disse: "Babbo, ma questa è la nostra macchina!" ed io sorridendo gli risposi che certo era la nostra, l'avevo lasciata lì apposta. Aprii lo sportello mentre Mattia raccoglieva qualcosa da terra e me lo portava.
"Guarda Babbo, che cos'è questo? guarda c'è la tua foto."
Rimasi in silenzio, non ci credevo, non capivo, era la mia patente; la presi in mano e la guardai per parecchi secondi poi, mi chinai su mio figlio e gli diedi un bacio.
"Dai sali che ci torniamo a casa".

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