IL
PETTIROSSO
Penso
al sospiro che fece quando senza più notarmi si chiuse la porta alle
mie spalle. Sicuramente fece un lungo sospiro e si disse un poco
sconsolata: fatto un altro.
Avrà
ricontato i soldi, forse messi in un barattolo vuoto e si sarà
mangiata un biscotto; si sarà lavata, asciugata e profumata, per il
prossimo cliente o solo per se stessa. Probabilmente avrà di nuovo
sospirato, un sospiro più breve, conosciuto, non tanto perché fosse
stanca; ma come a dire fatto un altro.
Ed
io invece guidando mi torno a casa e sospiro, un po' penso hai soldi
spesi ma poi mi porto le labbra al naso e quell'odore mi da' piacere.
Sospiro e penso a quanti siamo in questo momento a sospirare.
L'auto
procede, i miei pensieri si fermano, ma ecco che noto nel centro
della strada qualcosa, ancora non lo distinguo e poi ecco si lo vedo
un uccellino morto. Non sembra schiacciato, faccio pochi metri e
riesco a trovare uno spiazzo per fare inversione, ancora qualche
metro e di nuovo, inversione. Mi fermo, e senza che nessuno mi veda
faccio una piccola corsa per recuperare il defunto pettirosso. Lo
poso dietro, ai piedi del sedile e riparto. Faccio però poca strada
perché di nuovo
l'andatura vien fermata, stavolta da una pattuglia che, paletta alla
mano mi fa segno di accostare. Abbasso il finestrino dopo aver spento
l'auto, il carabiniere si avvicina ancora di più e mi guarda negli
occhi, "patente e libretto" ed il suo sguardo ancora
persiste. Allungo la mano verso lo sportello del parabrezza poi nel
portafoglio; gli allungo entrambi i documenti e lo fisso anch'io come
a dire beh che vuoi? E penso, penso a questo innato odio che nutro
contro la legge, contro i tutori della legge.
"Guardi
che sono le tre del pomeriggio e sto andando a prendere mio figlio
all'asilo, ho appena finito di lavorare, che vuole che abbia bevuto?
Ma non vede che sto bene? Se è per quest'occhio, guardi che è solo
un po' di congiuntivite". Dentro di me un poco titubavo, ero
uscito a mezzo giorno dal lavoro, avevo mangiato una pizzetta con una
birra e mi ero fatto un caffè ed un unicum, poi ero passato a fare
la spesa e mi ero fatto ancora un caffè ed altro unicum.
Non
sono più molto accondiscendente, ora sono incazzato. Il carabiniere
si inchina ed entra nell'abitacolo, io attendo e penso; penso che
devo andare a prendere mio figlio, che ho gettato novanta euro per
farmi una scopata, che ho dentro l'auto un pettirosso morto.
Bestemmio. Lo volevo mettere ai bordi del marciapiede e mentre Mattia
ci passava accanto dirgli: "Guarda, un uccellino" e lui si
sarebbe entusiasmato, spaventato; avrei comunque destato in lui
un'emozione; si sarebbe avvicinato e nel notare che non si muoveva
gli avrei detto che era morto, una macchina lo aveva investito mentre
volava.
"Prego"
mi dice il carabiniere riportandomi alla realtà "soffi qua
dentro" e allungando la mano mi porse un oggetto piccolo e poco
invitante. Lo guardavo, non capivo come poteva avvenire tutto questo
in questo momento; lo presi, me lo portai alla bocca ed eseguendo le
indicazioni del carabiniere, ci soffiai dentro.
Attendo
qualche minuto, mi guardo attorno, faccio per allontanarmi quando
sento una voce che mi dice che non posso più guidare, mi devono
ritirare la patente. Inizio cercando di spiegare che... ma non ho
voglia di stare a pregare, elemosinare. Chiudo gli occhi e abbasso la
testa.
"Questa
è la procedura, mi spiace". Ti spiace un cazzo, pensai, e
adesso chi va a prendere mio figlio, e adesso chi lo dice a mia
moglie. Adesso sospiro.
Mi
avvicino alla mia auto e faccio per metterla in moto, ma il
carabiniere prontamente mi raggiunge e mi chiede che diavolo sto
facendo, mi ammonisce dicendo che non posso guidare.
"Lo
so" rispondo io "ma volevo spostarla un po' più di lato e
poi me ne vado a piedi".
"No,
no, lei non può guidare, forse non ha capito" mi ripete, ma io
certo che ho capito mi sembrava oltre si ovvio che avrei potuto
almeno spostarla; ma cosi non era.
Scendo
dall'auto, tolgo le chiavi, prendo ciò che mi serve e richiudo lo
sportello. Mi avvio, mi incammino a piedi. Il carabiniere mi guarda e
mi chiama, io non mi volto e cammino, io cammino e me ne vado.
Per
fortuna era presto, avevo ancora tempo; la mia mente era stordita,
non certo dall'alcol quello nulla aveva provocato di anomalo, ma da
questa situazione irreale. Arrivai all'asilo che mancavano dieci
minuti alle quattro, suonai il campanello e sorrisi a mio figlio; gli
infilai la giacca i gli misi lo zainetto. Ci incamminammo.
"Ma
la macchina dov'è babbo?"
"Sono
venuto a piedi, vieni che ci facciamo una passeggiata, quando sei
stanco ti prendo sulle spalle, dai vieni, come è andata all'asilo?"
Camminammo,
Mattia si fermava spesso a raccogliere i fiori, io mi annusavo le
labbra e ancora pensavo a quel corpo nero e duro, e finalmente
sorridevo; pensavo un po' a quella puttana, un po' a quelle teste di
cazzo di carabinieri, poi guardavo mio figlio ed infine distoglievo
lo sguardo su quelle montagne che circondavano questa città.
Ripercorsi
tutta la strada in verso opposto finché
giunsi alla mia auto. La pattuglia se ne era andata, probabilmente
non aveva più un'area di sosta visto che era occupata tutta dalla
mia macchina. Mattia se ne accorse e disse: "Babbo, ma questa è
la nostra macchina!" ed io sorridendo gli risposi che certo era
la nostra, l'avevo lasciata lì apposta. Aprii lo sportello mentre
Mattia raccoglieva qualcosa da terra e me lo portava.
"Guarda
Babbo, che cos'è questo? guarda c'è la tua foto."
Rimasi
in silenzio, non ci credevo, non capivo, era la mia patente; la presi
in mano e la guardai per parecchi secondi poi, mi chinai su mio
figlio e gli diedi un bacio.
"Dai
sali che ci torniamo a casa".
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