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Risultato finale.
Gli elaborati vincitori di questa prima edizione di Metro d’oro sono i seguenti:- “Ultimo treno” di Valentina Orazi
- “Il mondo di Sògna” di Milos Fabbri
- “Qualcosa di speciale” di Claudia Arcolin
- “Zero-uno-due-tre” di Cristian Bonomi
- “Il mendicante” di La Plume de Paris
- “Pleasantville” di Silvana Soffia
- “La non bella principessa” di Elena Gonnelli
- “Emilia” di Rosaria Pepe
- “L’aereo” di Matteo Persico
- Fra i selezionati “L’aereo“ di Matteo Persico, riceve la pubblicazione perchè è stato il racconto più votato.
- Fra i selezionati “Emilia“ di Rosaria Pepe è l’elaborato che verrà premiato con un cortometraggio o booktrailer, realizzato dagli OnDigitalvideo.
Grazie. Le Edizioni Periferia.
IL MONDO DI SÒGNA
Il suo corpo emanava il profumo della notte, era
ancora in pigiama e se ne stava ferma sul pianerottolo. Avvicinai il
volto al suo collo ed inalai, mi riempii i sensi di quel desiderio
che ormai da tempo mi possedeva.
Il suo occhio mi guardava, ci fissavamo spesso per
brevi istanti, ed io ero certo che anche lei aveva i miei stessi
desideri.
Le presi il volto fra la mani e cercai di avvicinarla
alle mie labbra, ma il suo collo si irrigidì ed oppose resistenza,
indietreggiò; e non si lasciò baciare. Ci scambiammo un sorriso e
proseguimmo tra i soliti gesti, nell'indifferenza di tutto il
dintorno.
Sògna cercò di affrettare il passo, ma il
tentativo fu vano, il treno era appena partito. Entrò alla stazione
col respiro affannato ed un poco sudata, faceva caldo. Quando vide
partire, dall'unico binario, l'unico treno del giorno, posò il
piccolo zaino a terra ed alzò lo sguardo al cielo osservando le
nuvole che si muovevano lente, sorrise e chiuse gli occhi. Rimase in
quella posizione fino a quando sentì il respiro tornare regolare. A
quel punto inalò una grande quantità d'aria, si gonfiò le guance,
e rifece uscire tutta l'aria il più velocemente possibile.
Raccolse lo zaino ed uscì dalla stazione lasciandosi
alle spalle le risa delle persone che la stavano osservando.
Erano le tre del pomeriggio, ed era la terza volta, in
tre giorni, che Sògna entrava alla stazione l'attimo dopo in cui era
partito il treno.
In verità, tutti nel paese erano convinti che lei
nemmeno sapesse dove era diretto quel treno: forse nemmeno lo voleva
prendere. Da tempo Sonia era stata emarginata dalla comunità, in
pochi si potevano permettere di avvicinarsi ad una sognatrice come
lei. In molti temevano la sua sbadataggine, la sua innocenza,
purezza, semplicità. Era una ragazza con la testa fra le nuvole, e
fu ribattezzata dalla comunità di San Protetto: Sògna.
Successe che una mattina, proprio nel momento in
cui una nuvola offuscò timidamente il sole e Sògna stava ferma alla
bancarella della frutta, le si avvicinò un bambino con aria
colpevole. Le disse di essere stato lui a imbucarle quella lettera.
Il ragazzo era dispiaciuto, teneva la testa bassa. Nell'attimo in cui
posò i suoi occhioni su di lei, le vide una lacrima scivolare sulla
guancia; ma non cadde, rimase bloccata dal sorriso che ne seguì.
“Come puoi tu, così piccino, aver scritto quella
lettera?”
“Non l'ho scritta io, l'ho trovata in un cassetto, in
cucina, penso fosse della mamma.”
Sògna gli posò una mano sui capelli, lo accarezzò, e
senza più fare la spesa se ne tornò a casa.
Aprì il cassetto dove teneva custodita la lettera,
prese il biglietto fra le mani e si avvicinò alla finestra. Il
foglio diceva così:
La prego mia cara signora di recarsi questo
pomeriggio alla stazione, si porti con sé un indumento maschile,
maglietta e pantaloni, perché probabilmente, arriverò tutto nudo.
Come si conviene in queste presentazioni. La prego, mi accolga con
calore.
Con passione, Re Altà.
Sògna aveva preso
seriamente quella richiesta,
non ci vedeva nulla di strano se non quel: mi accolga con
calore.
Guardò fuori e lasciò posare i suoi ricordi sulle
nuvole di passaggio, non c'era nulla da fare, non se ne volevano
andare. Si ricordò dell'uomo che le aveva promesso amore eterno, ma
ben presto la lasciò sola con l'amarezza della delusione. Si
ripromise di non farsi più ingannare. Ma quando vide avvicinarsi un
incauto innamorato, gli spalancò le braccia e lo lasciò entrare;
dimenticando ogni dolore. E si prese una bella insolazione.
Le ci volle tempo per rialzarsi, e ora, le sue forti
ali la tenevano sempre a debita distanza da ogni rapporto. Si era
rifugiata in un mondo tutto suo, lontano da ogni sentimento.
Finito di pranzare si ranicchiò qualche minuto fra le
sue ginocchia. Raccolse i pensieri e li mise dentro lo zainetto
insieme a una maglietta rossa e un pantalone marrone da uomo. Uscì
di casa e si incamminò senza fretta alla stazione.
Si accomodò su di una panchina, l'unica, ed attese.
L'orologio, guardandola incuriosito, scandì silenzioso le tre del
pomeriggio. Il treno si fermò, nessuno salì, ma senza che Sògna se
ne accorgesse, un uomo era sceso dal treno e le si avvicinava.
Finalmente lo notò. Era nudo, sorridente, e si fermò davanti a lei,
ad una altezza imbarazzante.
Sògna si alzò di scatto, prese dallo zaino gli abiti
piegati con cura e senza, quasi guardarlo, glieli porse. Lui li prese
con fare lento, li posò sulla panchina, ed abbracciò Sògna. La
tenne stretta, forte a sé, si scaldò un poco del suo calore e solo
allora si vestì.
“Ciao, io sono re Altà, signore delle terre
dimenticate. Anche tu mia cara un tempo facevi parte di questo regno,
ma per vari motivi, ne sei voluta fuggire. Molti pensano che sia più
facile nascondersi in un posto sconosciuto, tipo qui, a San Protetto,
ma questi pensieri, cara, sono illusioni. Non c'è bisogno di fuggire
dalla realtà per sognare; ma soprattutto bisogna rimanere nella
realtà per vivere e smettere di nutrirsi di sogni. Vieni con me, ti
voglio mostrare qualcosa” e le porse la mano aperta, rivolta alle
nuvole.
Sògna lo fissava negli occhi, presa da un senso di
disorientamento si aggrappò, si lasciò condurre.
La giovane coppia attraversò la piazza di San
Protetto tenendosi la mano, Serena se ne stava appoggiata con la
schiena a una colonna del loggiato, li vide passare e li seguì con
la testa come un gufo curioso; c'era in loro, nel profilo non ben
definito, qualcosa di magico. Qualcosa che Serena aveva conosciuto ma
più non ricordava. Alzò lo sguardo al cielo, ed osservando l'unica
nuvola di passaggio, sorrise, vedendo che inseguiva i due amanti.
Camminavano lungo il corso come se si fossero conosciuti
da sempre. Sògna non sospettava ciò che sarebbe accaduto, ma
percepiva che qualcosa di nuovo stava succedendo. Re Altà si fermò
davanti ad una porta marrone.
“Vieni cara, siamo arrivati.” Le aprì l'uscio
lasciandola passare. Sògna salì le scale e arrivata sul
pianerottolo entrò nella stanza che le si affacciava davanti, già
aperta. Re Altà richiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò a
un grande specchio.
“Vieni qui vicino e guarda.”
Sògna vide la sua immagine riflessa nello specchio, si
guardò per qualche secondo, e pensò che non era nemmeno male,
quello che vedeva riflesso. Re Altà capovolse lo specchio, Sògna
ora, vide sempre sé stessa ma diversa. Vide una donna triste, col
volto cupo e le lacrime agli occhi. Si spaventò. Re Altà le prese
la mano dicendole di non temere; quella era lei, la sua verità.
Aveva tentato di nascondersi fra le nuvole, lontana dal sole. Ma non
sapeva che qualche raggio, seppur debole, ci raggiunge sempre. Allora
Sògna iniziò a capire cosa volesse il suo messaggero, perché era
sceso da quel treno e perché le stesse mostrando tutto questo. La
sua, non era una missione di pace, era venuto per distruggere il suo
mondo: San Protetto.
In paese la gente cominciava a preoccuparsi, erano
tre giorni che non smetteva di piovere e la diga non avrebbe retto
tutta quella pressione. Sògna si era lasciata andare a un pianto che
aveva tenuto soffocato per troppo tempo. Rivide nel riflesso del
vetro della finestra una bambola. Quella bambola con cui avrebbe
voluto giocare, ma che suo padre, per paura che si rovinasse, non le
aveva mai affidato. Sògna guardava la pioggia cadere, non riusciva a
far cessare le lacrime. Re Altà era seduto sul sofà e la osservava
in silenzio, aspettava, attendeva di capire quanto tempo ci sarebbe
voluto.
Alla fine la diga si incrinò e l'acqua cominciò ad
invadere le strade e salire sui pianerottoli delle case. Molti erano
fuggiti, ma per chi era restato non c'erano buone prospettive.
L'acqua raggiunse il livello della finestra in cui
Sògna, più non sognava ma ricordava, e più rammentava il dolore
passato più un poco si placava la sua sofferenza. Distolse lo
sguardo dal vuoto accorgendosi di una piccola imbarcazione che si
avvicinava. C'era un uomo sopra che tentava di raggiungerla. Appena
arrivato a tiro, si trattenne con forza allo stipite della finestra e
disse a Sògna di saltare su. Lei rimase qualche secondo immobile
poi, vide re Altà che si era alzato e la stava raggiungendo.
“Vi condurrò io” e aiutò Sògna a salire
nell'imbarcazione. Dopo essere salito anche lui, indicò a Incanto la
via da seguire.
Le nuvole si stavano diradando, nel cielo apparivano
chiazze azzurre ad annunciare il bel tempo. Le terre dimenticate
apparivano, agli occhi di Sògna, come qualcosa di meraviglioso,
conosciuto, ma molto nascosto fra i suoi ricordi.
Incanto le prese la mano ed accostò il volto al suo
petto, sentiva il cuore battere, si ricordò dell'amore, di
quell'amore che aveva perduto e che ora, le sembrava di ritrovare.
Re Altà alzò la mano destra, l'imbarcazione si fermò.
Tutti e tre posarono i piedi in un prato fiorito, c'era un gran
miscuglio di colori, nessuna nuvola in cielo, e poco distante si
vedeva prorompente il castello.
“Vedete” ed indicò l'orizzonte davanti a loro,
“queste sono le mie terre, qui dimorano tutti coloro che sanno
essere felici; donne e uomini che non si sono accontentati dei loro
sogni – che per natura sono solo proiezioni – ma hanno voluto
vivere. Voi vi eravate persi; tu Sògna ti sei nascosta cercando
protezione dentro di te, allontanando tutti, ma hai visto il
risultato; e tu caro Incanto, dopo aver affrontato un lungo viaggio
alla ricerca della tua vera casa, eccoti arrivato”.
Sògna e Incanto si presero per mano e insieme entrarono
nel castello, c'erano i preparativi per una grande festa. Sògna
entrò nella sua stanza. Incanto rimase fermo a guardarla, poi salì
di un piano e si accomiatò.
Più tardi, quando dal cortile si sentirono le prime
voci, la prima musica, si rincontrarono.
Incanto scese la prima rampa di scale e si fermò di
fronte alla porta di Sògna. Bussò.
Lei aprì la porta e uscì. Il suo corpo emanava il
profumo del sole, era avvolta da un bel vestito bianco e se ne stava
ferma sul pianerottolo. Incanto avvicinò il volto al suo collo ed
inalò, si riempì i sensi
di quel desiderio che
ormai lo possedeva.
Il suo occhio lo guardava, si fissavano, e Incanto era
certo che anche lei avesse i suoi stessi desideri.
Le prese il volto fra le mani e cercò di avvicinarla
alle sue labbra, senza opporre resistenza, senza indietreggiare, si
lasciò baciare. Si scambiarono un sorriso e proseguirono, tra nuovi
gesti, nell'indifferenza di tutto il dintorno.
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