Recensione: STUDIO 83
UNA NUOVA VITA
Milos Fabbri
Arduino Sacco Editore, Roma 2013
“Una nuova vita” è un’antologia di racconti brevi, istantanee ambientate in città e
contesti quotidiani della realtà italiana. I protagonisti sono coppie in crisi, anziani
depressi, mariti traditori: in generale, un’analisi di situazioni apparentemente normali, che nascondono però realtà borderline, fatte di abbandono, abbrutimento, anche crimine. Da un lato non sono temi nuovi, anzi, sono piuttosto abusati, soprattutto nella forma-racconto; dall’altro lato traspare una ricerca
contenutistica da parte dell’autore, che cerca di metterci del proprio, trovare una sua
originalità e in generale un significato nelle istantanee che ritrae.
Il risultato è al momento ancora immaturo: il senso non è sempre chiaro, come non
sono chiari i sottotesti e i significati. Di norma, in opere di questo tipo, soprattutto se
di autori esordienti, si trova un forte compiacimento verso le situazioni borderline che
si descrivono: in questo caso traspare più una rassegnazione. I racconti difettano di una vera e propria struttura nella quale ogni elemento trova il suo senso e la sua funzione.
martedì 26 novembre 2013
lunedì 25 novembre 2013
GUARDIA DI CONFINE
Da Una nuova vita di Milos Fabbri.
Esiste un punto, o un momento, o un luogo, non fa
nessuna differenza il nome, dove tutto si acquieta; dove il respiro
affannato del moribondo, o del bimbo è solo il respiro prima del
sonno. Esiste un'ora in cui anche io finalmente, trovo riposo, ma non
è un momento di pace, come si potrebbe credere; è più un momento
in cui chi si espone trova il vero pericolo, trova il vero nemico che
è pronto a farglielo affrontare.
Si erano fatte le due di notte, era l'ora del
cambio, non c'erano nuvole in cielo e questa era finalmente una bella
novità, ma faceva ancora più freddo del solito. Mi alzai il bavero
della giacca e mi soffiai un po' di aria calda nelle mani. Era da
qualche tempo che avevo pensieri confusi, mi sorgevano nella mente
domande a cui non riuscivo a dare risposte. Certo essere un soldato
non era stata una scelta, ma un obbligo del regime; io avrei voluto
un altro tipo di vita.
Il mio compagno mi seguiva silenzioso, era raro che
parlassimo fra noi; era raro che qualsiasi guardia si scambiasse una
qualche battuta, tutti dubitavamo del proprio appaiato, poteva essere
una spia, un infiltrato e non avrebbe esitato a denunciarci nel caso
avesse scoperto un nostro desiderio di fuga. Appena dentro la torre
di guardia appoggiai il mio Kalashnikov all'angolo del muro, giusto
il tempo di mettere a bollire un pentolino con dell'acqua. Non
potevamo portare cibo, ma una tisana era concessa.
Fra quattro giorni avrei compiuto ventitré anni e
mentre fissavo le case dall'altra parte del muro, le luci al neon di
qualche locale che si intravedeva lungo le vie, mi chiedevo perché a
me non fosse concesso tutto quello. Perché me ne dovevo stare qui al
freddo, a controllare che nessuno oltrepassasse quel muro che io per
primo avrei voluto scavalcare? “Sparate a vista e per uccidere”
era l'ordine impartito dai capiposto, ma non era per nulla facile.
domenica 24 novembre 2013
BERGONZONI
Indovinate un po': c'era Alessandro Bergonzoni che presentava il suo ultimo libro, L'amorte. L'ho ascoltato e poi mi sono comprato il libro. Un libro di poesie. Sono andato da lui per farmelo firmare e la dedica è stata decisamente bella: A Milos l'unico Milos della mia vita. Bella no.
Poi è arrivata l'ora e mi sono goduto lo spettacolo. Penso che Bergonzoni sia un artista eccezzionale.
mercoledì 13 novembre 2013
MILAN KUNDERA
Alessandro Piperno sul Corriere della Sera (30 ottobre 2013) scrive:
«Che cos'è la Festa dell'insignificanza?
Un divertissement surrealista, una parabola felliniana, in cui si alternano
personaggi alle prese con elucubrazioni stravaganti. Ciarlieri, peripatetici,
brilli, un po' vanesi, talvolta fin troppo astratti ma chi se ne importa.
Ogni tano alludono a un loro inventore che immagino sia Kundera stesso. E, in
effetti, Kundera li tratta come marionette. Li sfotte e li
comprende. Ad essi
affida i suoi classici motivi: dall'involontaria comicità dei dittatori
comunisti alla futilità di ogni esperienza umana.»
E lo stile?
Scrive ancora Piperno:
«Kundera è rimasto Kundera: lo stile sobriamente paratattico, il tono dimesso, l'andamento svagato e rapsodico.»
Avevo diciott'anni quando lessi il mio primo libro di Kundera. L'insostenibile leggerezza dell'essere: non ci capii nulla. Ma, per una strana forma di masochismo, continuai a leggere i suoi libri. Ad oggi li ho letti tutti, e amo questo scrittore.
Fu il terzo libro che presi in mano, se non ricordo male era lo scherzo, che mi diede la chiave di lettura per tutti gli altri libri. Per cui domani andrò a comprarmi il suo ultimo libro.
«Che cos'è la Festa dell'insignificanza?
Un divertissement surrealista, una parabola felliniana, in cui si alternano
personaggi alle prese con elucubrazioni stravaganti. Ciarlieri, peripatetici,
brilli, un po' vanesi, talvolta fin troppo astratti ma chi se ne importa.
Ogni tano alludono a un loro inventore che immagino sia Kundera stesso. E, in
effetti, Kundera li tratta come marionette. Li sfotte e li
comprende. Ad essi
affida i suoi classici motivi: dall'involontaria comicità dei dittatori
comunisti alla futilità di ogni esperienza umana.»
E lo stile?
Scrive ancora Piperno:
«Kundera è rimasto Kundera: lo stile sobriamente paratattico, il tono dimesso, l'andamento svagato e rapsodico.»
Avevo diciott'anni quando lessi il mio primo libro di Kundera. L'insostenibile leggerezza dell'essere: non ci capii nulla. Ma, per una strana forma di masochismo, continuai a leggere i suoi libri. Ad oggi li ho letti tutti, e amo questo scrittore.
Fu il terzo libro che presi in mano, se non ricordo male era lo scherzo, che mi diede la chiave di lettura per tutti gli altri libri. Per cui domani andrò a comprarmi il suo ultimo libro.
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