lunedì 25 novembre 2013

GUARDIA DI CONFINE





Da Una nuova vita di Milos Fabbri.

   Esiste un punto, o un momento, o un luogo, non fa nessuna differenza il nome, dove tutto si acquieta; dove il respiro affannato del moribondo, o del bimbo è solo il respiro prima del sonno. Esiste un'ora in cui anche io finalmente, trovo riposo, ma non è un momento di pace, come si potrebbe credere; è più un momento in cui chi si espone trova il vero pericolo, trova il vero nemico che è pronto a farglielo affrontare.

Si erano fatte le due di notte, era l'ora del cambio, non c'erano nuvole in cielo e questa era finalmente una bella novità, ma faceva ancora più freddo del solito. Mi alzai il bavero della giacca e mi soffiai un po' di aria calda nelle mani. Era da qualche tempo che avevo pensieri confusi, mi sorgevano nella mente domande a cui non riuscivo a dare risposte. Certo essere un soldato non era stata una scelta, ma un obbligo del regime; io avrei voluto un altro tipo di vita.
Il mio compagno mi seguiva silenzioso, era raro che parlassimo fra noi; era raro che qualsiasi guardia si scambiasse una qualche battuta, tutti dubitavamo del proprio appaiato, poteva essere una spia, un infiltrato e non avrebbe esitato a denunciarci nel caso avesse scoperto un nostro desiderio di fuga. Appena dentro la torre di guardia appoggiai il mio Kalashnikov all'angolo del muro, giusto il tempo di mettere a bollire un pentolino con dell'acqua. Non potevamo portare cibo, ma una tisana era concessa.
Fra quattro giorni avrei compiuto ventitré anni e mentre fissavo le case dall'altra parte del muro, le luci al neon di qualche locale che si intravedeva lungo le vie, mi chiedevo perché a me non fosse concesso tutto quello. Perché me ne dovevo stare qui al freddo, a controllare che nessuno oltrepassasse quel muro che io per primo avrei voluto scavalcare? “Sparate a vista e per uccidere” era l'ordine impartito dai capiposto, ma non era per nulla facile.

Finalmente il mio pensare venne interrotto da quello che era diventato da tre giorni il mio più grande desiderio: una ragazza in minigonna e pelliccia che usciva puntuale alle quattro del mattino da un locale notturno. Camminava su due tacchi altissimi, sempre in bilico, sempre un po' dondolando sul marciapiede. Spesso si appoggiava, giunta all'angolo della strada, al muro, si toglieva le scarpe, le infilava nella borsetta e mi guardava. Ne ero sicuro, anche se per colpa della distanza potevo essere tratto in inganno. I suoi occhi mi fissavano, tristi, melanconici, un poco supplichevoli. Ma non ero sicuro di capire cosa volesse da me.
Nella torre di guardia non c'era molto, un piccolo tavolo con sopra il fornellino per scaldare l'acqua, ed una sedia, null'altro. Io camminavo tutto il tempo guardando quei luoghi che avrei voluto calpestare, abitare; mentre il mio compagno rimaneva seduto con una rivista tra le mani guardando nelle foto quei luoghi che avrebbe voluto calpestare e abitare.
Il tempo trascorreva così, trascinandosi come una foglia nel vento, e noi rimanevamo inerti ai nostri sogni.


Era giunto anche il quarto giorno del turno di notte, salimmo come al solito fin dentro la torretta compiendo i soliti gesti, ma quando arrivarono le quattro del mattino, qualcosa cambiò. La ragazza uscì dal locale, i tacchi la facevano vacillare come al solito, ma dopo pochi passi si appoggiò al muro e si fermò, abbassò il viso per togliersi le scarpe e si mise a guardarmi. Notai i suoi capelli uscire da un cappello che le teneva caldo il capo, le labbra intinte nel rossetto, il colore agli occhi, e poi vidi che col gesto lento della mano mi gettò un bacio. Mi immobilizzai dentro la mia uniforme, guardai con la coda dell'occhio se l'altra guardia si fosse accorto di qualcosa ma vidi che era ancora intento a sognare il caldo di quel sole tropicale. La ragazza mi faceva dei gesti, non capivo, ma poi tutto d'un tratto vidi un'ombra sotto di me che si avvicinava al muro. Era una sagoma piccola, mi allertai ma per uno strano presentimento non diedi l'allarme anzi, cercai di non attirare l'attenzione del mio compagno. Gli dissi che dovevo pisciare, lui si alzò e io scesi le scale un poco agitato. Ad attendermi, nascosto tra il buio e una colonna, c'era un bambino. Tutto era silenzioso, sapevo di avere pochissimo tempo per capire cosa stesse succedendo, poi d'un tratto il bambino allungò un braccio e mi porse un biglietto e di nuovo si dileguò nel buio di quella fredda notte.
Risalii al mio posto tenendo la mano sinistra in tasca a stringere quel biglietto. La ragazza era ancora lì, ma appena vide che ero risalito si incamminò e sparì dietro l'angolo poco dopo.

La sera successiva ero agitato, non sapevo cosa fare e semmai avessi accettato, come farlo?
Salimmo come al solito senza dire nulla, accesi il fornello per scaldare l'acqua e per la prima volta parlai con l'altra sentinella. Avevo deciso, ormai non mi importava di essere scoperto, non lo avrebbe potuto riferire a nessuno.
Chiesi al mio compagno se lui non sentisse il desiderio di fuggire, se non gli sembrava assurdo questo muro che ci escludeva dalla vita, non c'era nulla di sensato in quello che il regime aveva deciso, e bisognava ribellarsi a tutto questo.
Il ragazzo mi guardava negli occhi, era terrorizzato perché intuì quello che stava succedendo, sapeva che non gli avrei mai detto quelle cose a meno che...
Tirai fuori dalla fodera il coltello e glielo piantai al petto, poi al collo e infine lo gettai a terra. Guardai fuori verso il locale, la ragazza mi stava aspettando. Spensi il fornello e mi precipitai giù dalle scale. Sotto c'era il bambino che mi aspettava.
Lo presi per mano e insieme corremmo verso il muro, lo spinsi su fino a vederlo in cima, poi mi arrampicai anch'io. Con cautela gli feci oltrepassare il filo spinato che mi si stava infilando nel braccio provocandomi parecchio dolore. La madre era arrivata sotto al muro, tenendolo forte con un braccio glielo passai fino a sentire che non c'era più peso. La ragazza mi guardava sorridendo, stavo per ricambiare quando una raffica di Kalashnikov mi colpì alla schiena.
Rimasi lì sul confine, immobile, con lo sguardo verso ciò che avrei voluto, con la mano penzolante verso il bambino che mi voleva aiutare, ma la madre lo prese in braccio e correndo si dileguò veloce tra le vie.
Mi tolsero da quell'intreccio al mattino, dopo parecchie ore che il sole era sorto: tutti dovevano vedere cosa succedeva ai traditori, tutti dovevano ricordarsi di rimanere al loro posto.

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