Da Una nuova vita di Milos Fabbri.
Esiste un punto, o un momento, o un luogo, non fa
nessuna differenza il nome, dove tutto si acquieta; dove il respiro
affannato del moribondo, o del bimbo è solo il respiro prima del
sonno. Esiste un'ora in cui anche io finalmente, trovo riposo, ma non
è un momento di pace, come si potrebbe credere; è più un momento
in cui chi si espone trova il vero pericolo, trova il vero nemico che
è pronto a farglielo affrontare.
Si erano fatte le due di notte, era l'ora del
cambio, non c'erano nuvole in cielo e questa era finalmente una bella
novità, ma faceva ancora più freddo del solito. Mi alzai il bavero
della giacca e mi soffiai un po' di aria calda nelle mani. Era da
qualche tempo che avevo pensieri confusi, mi sorgevano nella mente
domande a cui non riuscivo a dare risposte. Certo essere un soldato
non era stata una scelta, ma un obbligo del regime; io avrei voluto
un altro tipo di vita.
Il mio compagno mi seguiva silenzioso, era raro che
parlassimo fra noi; era raro che qualsiasi guardia si scambiasse una
qualche battuta, tutti dubitavamo del proprio appaiato, poteva essere
una spia, un infiltrato e non avrebbe esitato a denunciarci nel caso
avesse scoperto un nostro desiderio di fuga. Appena dentro la torre
di guardia appoggiai il mio Kalashnikov all'angolo del muro, giusto
il tempo di mettere a bollire un pentolino con dell'acqua. Non
potevamo portare cibo, ma una tisana era concessa.
Fra quattro giorni avrei compiuto ventitré anni e
mentre fissavo le case dall'altra parte del muro, le luci al neon di
qualche locale che si intravedeva lungo le vie, mi chiedevo perché a
me non fosse concesso tutto quello. Perché me ne dovevo stare qui al
freddo, a controllare che nessuno oltrepassasse quel muro che io per
primo avrei voluto scavalcare? “Sparate a vista e per uccidere”
era l'ordine impartito dai capiposto, ma non era per nulla facile.
Finalmente il mio pensare venne interrotto da quello che era diventato da tre giorni il mio più grande desiderio: una ragazza in minigonna e pelliccia che usciva puntuale alle quattro del mattino da un locale notturno. Camminava su due tacchi altissimi, sempre in bilico, sempre un po' dondolando sul marciapiede. Spesso si appoggiava, giunta all'angolo della strada, al muro, si toglieva le scarpe, le infilava nella borsetta e mi guardava. Ne ero sicuro, anche se per colpa della distanza potevo essere tratto in inganno. I suoi occhi mi fissavano, tristi, melanconici, un poco supplichevoli. Ma non ero sicuro di capire cosa volesse da me.
Nella torre di guardia non c'era molto, un piccolo
tavolo con sopra il fornellino per scaldare l'acqua, ed una sedia,
null'altro. Io camminavo tutto il tempo guardando quei luoghi che
avrei voluto calpestare, abitare; mentre il mio compagno rimaneva
seduto con una rivista tra le mani guardando nelle foto quei luoghi
che avrebbe voluto calpestare e abitare.
Il tempo trascorreva così, trascinandosi come una
foglia nel vento, e noi rimanevamo inerti ai nostri sogni.
Era giunto anche il quarto giorno del turno di
notte, salimmo come al solito fin dentro la torretta compiendo i
soliti gesti, ma quando arrivarono le quattro del mattino, qualcosa
cambiò. La ragazza uscì dal locale, i tacchi la facevano vacillare
come al solito, ma dopo pochi passi si appoggiò al muro e si fermò,
abbassò il viso per togliersi le scarpe e si mise a guardarmi. Notai
i suoi capelli uscire da un cappello che le teneva caldo il capo, le
labbra intinte nel rossetto, il colore agli occhi, e poi vidi che col
gesto lento della mano mi gettò un bacio. Mi immobilizzai dentro la
mia uniforme, guardai con la coda dell'occhio se l'altra guardia si
fosse accorto di qualcosa ma vidi che era ancora intento a sognare il
caldo di quel sole tropicale. La ragazza mi faceva dei gesti, non
capivo, ma poi tutto d'un tratto vidi un'ombra sotto di me che si
avvicinava al muro. Era una sagoma piccola, mi allertai ma per uno
strano presentimento non diedi l'allarme anzi, cercai di non attirare
l'attenzione del mio compagno. Gli dissi che dovevo pisciare, lui si
alzò e io scesi le scale un poco agitato. Ad attendermi, nascosto
tra il buio e una colonna, c'era un bambino. Tutto era silenzioso,
sapevo di avere pochissimo tempo per capire cosa stesse succedendo,
poi d'un tratto il bambino allungò un braccio e mi porse un
biglietto e di nuovo si dileguò nel buio di quella fredda notte.
Risalii al mio posto tenendo la mano sinistra in tasca a
stringere quel biglietto. La ragazza era ancora lì, ma appena vide
che ero risalito si incamminò e sparì dietro l'angolo poco dopo.
La sera successiva ero agitato, non sapevo cosa fare
e semmai avessi accettato, come farlo?
Salimmo come al solito senza dire nulla, accesi il
fornello per scaldare l'acqua e per la prima volta parlai con l'altra
sentinella. Avevo deciso, ormai non mi importava di essere scoperto,
non lo avrebbe potuto riferire a nessuno.
Chiesi al mio compagno se lui non sentisse il desiderio
di fuggire, se non gli sembrava assurdo questo muro che ci escludeva
dalla vita, non c'era nulla di sensato in quello che il regime aveva
deciso, e bisognava ribellarsi a tutto questo.
Il ragazzo mi guardava negli occhi, era terrorizzato
perché intuì quello che stava succedendo, sapeva che non gli avrei
mai detto quelle cose a meno che...
Tirai fuori dalla fodera il coltello e glielo piantai al
petto, poi al collo e infine lo gettai a terra. Guardai fuori verso
il locale, la ragazza mi stava aspettando. Spensi il fornello e mi
precipitai giù dalle scale. Sotto c'era il bambino che mi aspettava.
Lo presi per mano e insieme corremmo verso il muro, lo
spinsi su fino a vederlo in cima, poi mi arrampicai anch'io. Con
cautela gli feci oltrepassare il filo spinato che mi si stava
infilando nel braccio provocandomi parecchio dolore. La madre era
arrivata sotto al muro, tenendolo forte con un braccio glielo passai
fino a sentire che non c'era più peso. La ragazza mi guardava
sorridendo, stavo per ricambiare quando una raffica di Kalashnikov mi
colpì alla schiena.
Rimasi lì sul confine, immobile, con lo sguardo
verso ciò che avrei voluto, con la mano penzolante verso il bambino
che mi voleva aiutare, ma la madre lo prese in braccio e correndo si
dileguò veloce tra le vie.
Mi tolsero da quell'intreccio al mattino, dopo parecchie
ore che il sole era sorto: tutti dovevano vedere cosa succedeva ai
traditori, tutti dovevano ricordarsi di rimanere al loro posto.
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