Posted Cose che accadono qui, Peppe
in
Se nelle rotte confuse della mia vita non
mi sono ancora perduto del tutto, se in ogni occasione di naufragi sono
approdato in isole salvifiche, se da quasi diciassette anni scrivo
poesie, se sono cambiato e cambierò, lo devo alle donne. A tutte le
donne che ho conosciuto ed amato, a quelle che ho mitizzato ed alle
amiche tuttora sorelle di smarrimenti e glorie. Mi hanno, loro, sempre
consegnato le mappe di nuovi mondi, di universi paralleli, di luoghi
onirici. Mi hanno, alcune, ferito, terrorizzato, reso insonne,
distrutto. Ma è sempre valsa la pena. E tutte le volte che mi sono
rialzato, a tendere le mani, c’erano braccia femminili. Con un sorriso.
Con un sorriso che lo sguardo non sa tollerare per quanto è
spaventosamente ricolmo di tenerezza. Come la bellezza. La bellezza
unica di essere donna, di rapportarsi con gli elementi in un connubio
spirituale che è si un accidente, ma anche l’idilliaca vicinanza col
tutto; con l’esistenza e con il mistero. Infatti la donna custodisce
scrigni. Ogni cosa si svolge in modo arcano nella femmina. Nelle sue
viscere e nella sua anima. In lei tutto è illuminato. Si fa copione
divino, percorso di cosmo, atomi di splendore, alberi che allungano i
rami per tirarsi giù il cielo. E come si può sopportare che queste
creature vengano imprigionate dentro le tradizioni, picchiate, stuprate,
obbligate a sottomettersi, a prostituirsi. E come si fa a non sentire
le bombe che negli anni sono cadute in testa nelle loro abitazioni di
fango o cemento, a non sentire tutte le grida disperate di donne
abbandonate, rimaste senza figli o marito per colpa delle guerre. E come
non travolgersi al pensiero di ragazze infibulate e lapidate, smembrate
a colpi di machete. A quelle umiliate troppo spesso dentro le quattro
mura di casa invece di essere protette. A quelle che furono torturate e
bruciate durante la santa inquisizione, alle schiave per i bianchi, alle
donne incinte squarciate dalle baionette dei regimi, annientate da
patriarcati infami. E come non piangere le vittime di stalking, le donne
a cui è negata l’istruzione o il diritto di voto.
Amo la donna perché è sopravvissuta.
Perché ha dovuto imparare a mentire, ma quando il vento la ammantella,
si sposta un po’ i capelli e pare la Verità. Amo la donna per il suo
corpo intriso di celestiale, che si perde con la luna aprendo il cuore
all’universo. Che sublima la nostra colpa di vivere e gira sembrando un
miraggio. Amo la donna perché so di Frida Khalo che patisce trentadue
interventi chirurgici e che non si piega a nessuna convenzione sociale
dell’epoca. Perché so di Jeanne Hébuterne che, incinta, e poche ore dopo
dalla morte del compagno che amava, Modigliani, si getta dal sesto
piano. Perché so di Rosa Parks che, negli Usa, rifiuta, in piena
segregazione razziale, di lasciare il posto a sedere, nel bus, ad un
bianco. Amo la donna perché so della visionarietà poetica di Patty
Smith.
Ed amo la donna perché adoro il suo corpo
che sbocca sangue e custodisce vita, che avanza portando cornucopie di
sogni per confonderci d’infinitudine. Amo quel suo “corpo elettrico” che
respira all’unisono con madre natura invidiosa. Che perfeziona
l’esistenza e scuote temporali, che si fa obbedire da mari ed arcobaleni
e libera Eros. Amo la donna perché è ricolma di affastellati
avvilimenti, di distanze ingestite, di velate provocazioni e pudicizie
improvvise. Perché ha ali spezzate e sa comunque librarsi in volo,
perché intrattiene grovigli di lontananze e beatitudini, ha soprassalti
di strazi e ricordi non sopiti, ha perdizioni e coriandoli di mito.
Perché si scuote di ansie e segreti sotto le tempie e tutto si compie
dentro lei: nelle viscere, nel mistero. In simbiosi assoluta con la
Bellezza ed il suo occulto. Perché la donna canta la bellezza e
l’occulto.
“La donna è qualcosa d’ardente e di
triste, qualcosa un po’ vago, che lascia corso alla congettura. Andrò ad
applicare, se si vuole, le mie idee a un oggetto sensibile,
all’oggetto, per esempio, il più interessante nella società, a un viso
di donna. Una testa seducente e bella, una testa di femmina, voglio
dire, è una testa che fa sognare in una volta, – ma in maniera confusa, –
di voluttà e di tristezza; che presuppone un’idea di malinconia, di
fiacchezza, persino di sazietà, – ma pure un’idea contraria, ossia un
ardore, un desiderio di vivere, associato a un’amarezza rifluente, come
provenisse da una privazione o da una disperazione. Il mistero, il
rimpianto sono ugualmente caratteri del Bello.” (Baudelaire)
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