mercoledì 12 agosto 2015



Sylvia Plath che sigilla porte e finestre e mette la testa nel forno a gas e si uccide. Cesare Pavese che ingurgita sonniferi a decine e lo trovano addormentato per sempre con un suo ultimo scritto: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.” Pablo Neruda in ospedale fatto fuori da un’iniezione letale e fatto fuori in vita quando la sua patria lo espulse. Pasolini brutalmente assassinato dal potere. Walt Whitman che “canta il corpo elettrico” e muore in concomitanza della pubblicazione della sua prima opera di prosa. Alda Merini dieci anni in manicomio con i polsi legati per non farla scrivere e trentacinque elettroshok subiti. Sibilla Aleramo violentata a quindici anni che muore dopo una lunga malattia e tanti amori impossibili. Rimbaud preso a pistolettate da Verlaine e preso dalla gangrena crepando così a trentasette anni. Ungaretti riverso a terra tra corpi di compagni morti nella grande guerra e fulminato poi dalla broncopolmonite. Dylan Thomas tutto alcol e dissolutezza fregato da un edema al cervello. Jack Hirschman finito cinque volte in galera sempre per difendere la libertà di espressione. Bukoswski stroncato da leucemia fulminante dopo una vita di sbronze coi reietti americani. Allen Ginsberg che soccombe per un cancro al fegato e scrive poesie pure fino all’ultimo respiro. Leopardi deforme schiacciato dalla sua stessa sete di vita e continuamente imprigionato nel corpo. Piero Ciampi libero che manda tutti affanculo giocando a scacchi con Carmelo Bene per poi chiudere con un cancro all’esofago senza avere riconosciuta la sua poetica. Sandro Penna chiuso in camera a scrivere senza uscire mai circondato dal suo stesso piscio. Federico Garcia Lorca che lotta contro i fascisti di Franco e viene fucilato. Baudelaire sventrato dall’assenzio e processato per “I fiori del male”. Kerouac che scopre l’America e la fa beat e si sorprende un mattino a vomitare sangue e abbandonare questo mondo con la cirrosi epatica. Rilke in sanatorio con la febbre intestinale. Artaud sfibrato dalle crudeltà che muore solo nel suo pavillon con in mano una scarpa. Montale crollato per vasculopatia dopo averci lasciato quel “ciò che non siamo/ciò che non vogliamo”. Quasimodo ucciso da un ictus “ed è subito sera.” Ezra Pound internato nell’ospedale criminale federale “St. Elizabeths” di Washington che riesce a scrivere:“Quello che veramente ami, non ti sarà strappato.” Umberto Saba vessato dall’assenza del padre e morto dopo essersi sconvolto per la malattia della moglie. Federico Tavan finito in manicomio a dodici anni che pubblica:“Poteva capitare anche a te/ di nascere in un pentolone/ tra rospi e intrugli/ di streghe senza processo/ e il dolore grande di una madre./ Io mi sono trovato a passare/ da quelle parti.” Emily Dickinson che a venticinque anni si estrania dal mondo rinchiudendosi in camera sua illusa che basta la fantasia per vivere e che esce dalla sua camera solo da morta, ed esce insieme a millesettecentosettantacinque poesie che la sorella scopre in un cofanetto. Joseph Rudyard Kipling dichiarato “incapace intellettualmente” dai suoi insegnanti ma che inventa versi immortali e cede all’emorragia cerebrale. Paul Éluard che ha una crisi esistenziale e scompare per sette mesi non dando notizie di sé e facendo perdere le sue tracce e termina la sua vita con un doppio attacco di angina pectoris. Antonio Machado, che lo trova cadavere il fratello, nelle tasche del cappotto, prima di morire aveva messo un foglietto in cui aveva scritto:”Quei giorni azzurri e quel sole dell’infanzia.“ Vladimir Vladimirovič Majakovskij che si spara dritto al cuore. Esenin terrorizzato da allucinazioni causate dalla dipendenza dall’alcol che s’impicca a trent’anni. Amelia Rosselli con la diagnosi di schizofrenia paranoide che perde contro i suoi demoni ammazzandosi. Edgar Allan Poe devastato dall’alcol e dalla desolazione che barcolla in strada ed evoca versi maledetti. Guy de Maupassant vittima di paralisi, amnesie, allucinazioni, che trapassa dopo diciotto mesi in stato di incoscienza. Keats che abita in piazza di spagna e crepa a venticinque anni. Villon che viene condannato a morte e graziato con l’esilio. Rocco Scotellaro, trentenne, stroncato da un infarto.
Vi basta per sapere che cos’è la poesia? Vi basta per sapere che non servono dibattiti, recensioni di critici, intellettuali malati d’ego, fantomatici poetastri che puzzano di biblioteca per sapere cos’è la poesia? E la poesia è un gioco pericoloso da cui un poeta non può sottrarsi. Può però scegliere la maniera di giocare e andare fino in fondo. E la maniera migliore è rischiando la vita. Rischiando tutto per un verso, per un unico, immortale, verso destinato allo splendore, fin là dove nessun altro potrà mai arrivare.
“Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi.”
– Arthur Rimbaud –


Se nelle rotte confuse della mia vita non mi sono ancora perduto del tutto, se in ogni occasione di naufragi sono approdato in isole salvifiche, se da quasi diciassette anni scrivo poesie, se sono cambiato e cambierò, lo devo alle donne. A tutte le donne che ho conosciuto ed amato, a quelle che ho mitizzato ed alle amiche tuttora sorelle di smarrimenti e glorie.  Mi hanno, loro, sempre consegnato le mappe di nuovi mondi, di universi paralleli, di luoghi onirici. Mi hanno, alcune, ferito, terrorizzato, reso insonne, distrutto. Ma è sempre valsa la pena. E tutte le volte che mi sono rialzato, a tendere le mani, c’erano braccia femminili. Con un sorriso. Con un sorriso che lo sguardo non sa tollerare per quanto è spaventosamente ricolmo di tenerezza. Come la bellezza. La bellezza unica di essere donna, di rapportarsi con gli elementi in un connubio spirituale che è si un accidente, ma anche l’idilliaca vicinanza col tutto; con l’esistenza e con il mistero. Infatti la donna custodisce scrigni. Ogni cosa si svolge in modo arcano nella femmina. Nelle sue viscere e nella sua anima. In lei tutto è illuminato. Si fa copione divino, percorso di cosmo, atomi di splendore, alberi che allungano i rami per tirarsi giù il cielo. E come si può sopportare che queste creature vengano imprigionate dentro le tradizioni, picchiate, stuprate, obbligate a sottomettersi, a prostituirsi. E come si fa a non sentire le bombe che negli anni sono cadute in testa nelle loro abitazioni di fango o cemento, a non sentire tutte le grida disperate di donne abbandonate, rimaste senza figli o marito per colpa delle guerre. E come non travolgersi al pensiero di ragazze infibulate e lapidate, smembrate a colpi di machete. A quelle umiliate troppo spesso dentro le quattro mura di casa invece di essere protette. A quelle che furono torturate e bruciate durante la santa inquisizione, alle schiave per i bianchi, alle donne incinte squarciate dalle baionette dei regimi, annientate da patriarcati infami. E come non piangere le vittime di stalking, le donne a cui è negata l’istruzione o il diritto di voto.
Amo la donna perché è sopravvissuta. Perché ha dovuto imparare a mentire, ma quando il vento la ammantella, si sposta un po’ i capelli e pare la Verità. Amo la donna per il suo corpo intriso di celestiale, che si perde con la luna aprendo il cuore all’universo. Che sublima la nostra colpa di vivere e gira sembrando un miraggio. Amo la donna perché so di Frida Khalo che patisce trentadue interventi chirurgici e che non si piega a nessuna convenzione sociale dell’epoca. Perché so di Jeanne Hébuterne che, incinta, e poche ore dopo dalla morte del compagno che amava, Modigliani, si getta dal sesto piano. Perché so di Rosa Parks che, negli Usa, rifiuta, in piena segregazione razziale, di lasciare il posto a sedere, nel bus, ad un bianco. Amo la donna perché so della visionarietà poetica di Patty Smith.
Ed amo la donna perché adoro il suo corpo che sbocca sangue e custodisce vita, che avanza portando cornucopie di sogni per confonderci d’infinitudine. Amo quel suo “corpo elettrico” che respira all’unisono con madre natura invidiosa. Che perfeziona l’esistenza e scuote temporali, che si fa obbedire da mari ed arcobaleni e libera Eros. Amo la donna perché è ricolma di affastellati avvilimenti, di distanze ingestite, di velate provocazioni e pudicizie improvvise. Perché ha ali spezzate e sa comunque librarsi in volo, perché intrattiene grovigli di lontananze e beatitudini, ha soprassalti di strazi e ricordi non sopiti, ha perdizioni e coriandoli di mito. Perché si scuote di ansie e segreti sotto le tempie e tutto si compie dentro lei: nelle viscere, nel mistero. In simbiosi assoluta con la Bellezza ed il suo occulto. Perché la donna canta la bellezza e l’occulto.
“La donna è qualcosa d’ardente e di triste, qualcosa un po’ vago, che lascia corso alla congettura. Andrò ad applicare, se si vuole, le mie idee a un oggetto sensibile, all’oggetto, per esempio, il più interessante nella società, a un viso di donna. Una testa seducente e bella, una testa di femmina, voglio dire, è una testa che fa sognare in una volta, – ma in maniera confusa, – di voluttà e di tristezza; che presuppone un’idea di malinconia, di fiacchezza, persino di sazietà, – ma pure un’idea contraria, ossia un ardore, un desiderio di vivere, associato a un’amarezza rifluente, come provenisse da una privazione o da una disperazione. Il mistero, il rimpianto sono ugualmente caratteri del Bello.” (Baudelaire)

sabato 8 agosto 2015

Gli ignoranti

 

Cosa succede quando si dedica la propria vita a uno scopo? Étienne Davodeau è un autore francese di fumetti, molti dei quali dedicati a come sta cambiando il lavoro e come questo influisce nella vita delle persone. Richard Leroy è un vignaiolo che conduce i pochi ettari della sua vigna con metodi biodinamici. Étienne vuole capire la passione che sostiene il lavoro dell’amico, così forte da spingerlo a cambiare vita per dedicarsi solo al suo vino: senza cedere a una facile produzione industriale, ma perseguendo invece un ideale di qualità con una produzione molto limitata di bottiglie l’anno. Richard entra così nella cantina di creatività di Étienne, dove ogni libro è una scommessa con i lettori e gli editori perché lavorato come un pezzo unico: sempre diverso dai libri precedenti nei personaggi, nell’ambientazione e nella realizzazione grafica, ma sempre riconoscibile nel suo stile, nei testi come nei disegni.
Tra degustazioni di vini e letture di fumetti, incontri con produttori biodinamici e autori di fumetti, entrambi scopriranno che i loro lavori hanno a che fare con quell’indefinibile che ci rende “esseri umani”.
Raccontato in presa diretta, quasi si svolgesse mentre lo si legge, Gli ignoranti è il diario di una reciproca educazione attraverso un’etica del fare che si trasmette attraverso il piacere di un bicchiere di vino o la lettura di una storia ben scritta e disegnata. In appendice tre testi di Sandro Sangiorgi e Sergio Rossi sulla viticoltura biodinamica, il mercato del fumetto francese e il making di questo volume.


Autore: Étienne Davodeau
Data Pubblicazione: 2015
Pagine: 288
Editore: Porthos Edizioni
Lingua: Italian