martedì 8 settembre 2015

Prospektiva 1.0
Contropremio letterario
 

IL BANDO DEL PREMIO
PROSPEKTIVA 1.0
PER OPERE INEDITE
Articolo 1. Prospektiva 1.0 nasce con lo scopo di premiare manoscritti di narrativa e saggistica. Racconti e saggi per poi parlarne per qualche mese in giro nei Festival letterari organizzati da Prospektiva. Insomma fare rumore sulle scritture in ombra.
Articolo 2. Il premio si divide in due sezioni: opere inedite per la narrativa (sia romanzi sia raccolta di racconti); opere inedite di saggistica. Si può partecipare anche con manoscritti differenti e in diverse sezioni. Non vi è limite di lunghezza per i manoscritti presentati.

Articolo 3. I primi di ciascuna sezione riceveranno come premio la pubblicazione con Tra le righe libri. Dunque un romanzo o una raccolta di racconti, e un saggio avranno, ISBN, copertina con bandelle, diffusione e quant’altro fa diventare un manoscritto un libro.
Preferiamo – sia per i saggi sia per le narrazioni – storie, diari, Storia del Novecento italiano, elementi sociali e politici, scelte e coraggio. Insomma vogliamo vedere uscire dalla carta, dal manoscritto, il desiderio di prendere per mano il lettore e portarlo su per nuovi sentieri.
Articolo 4. La scadenza per partecipare è fissata a sabato 25 aprile 2016.
Articolo 5. La premiazione si terrà a Lucca.
Articolo 6. La segreteria dove spedire tutto – (si può anche inviare il materiale via email a prospektiva@libero.it mettendo all’oggetto Premio Prospektiva 1.0) – è sita a Lucca in via Pisana Trav. I, 18 - 55100. Sulla busta basta mettere Premio Prospektiva 1.0.

Articolo 7. Per l’iscrizione (che verrà utilizzata per la promozione delle opere) l’importo è di euro 20,00 da versare su conto postale numero 11507530 intestato a Andrea Giannasi editore, o bancario: IBAN IT 52 F 05034 70130 0000 0000 1154 (Cassa di Risparmio di Lucca, conto intestato a Andrea Giannasi editore).
Articolo 8. La giuria è composta da editor, giornalisti e operatori del settore editoriale coordinati da Andrea Giannasi. Per info scrivete a prospektiva@libero.it
Articolo 9. Il giudizio della giuria è insindacabile
Per gli autori di opere edite vi invitiamo a partecipare al Contropremio Carver.

lunedì 7 settembre 2015

SONG OF CHILDHOOD




Quando il bambino era bambino,
camminava con le braccia ciondoloni,
voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente
e questa pozzanghera il mare.
Quando il bambino era bambino,
non sapeva di essere un bambino,
per lui tutto aveva un’anima
e tutte le anime erano un tutt’uno.
Quando il bambino era bambino
non aveva opinioni su nulla,
non aveva abitudini,
sedeva spesso con le gambe incrociate,
e di colpo si metteva a correre,
aveva un vortice tra i capelli
e non faceva facce da fotografo.
Quando il bambino era bambino,
era l’epoca di queste domande:
perché io sono io, e perché non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono lì?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole è forse solo un sogno?
non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?
c’è veramente il male e gente veramente cattiva?
come può essere che io, che sono io,
non c’ero prima di diventare,
e che, una volta, io, che sono io,
non sarò più quello che sono?

mercoledì 12 agosto 2015



Sylvia Plath che sigilla porte e finestre e mette la testa nel forno a gas e si uccide. Cesare Pavese che ingurgita sonniferi a decine e lo trovano addormentato per sempre con un suo ultimo scritto: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.” Pablo Neruda in ospedale fatto fuori da un’iniezione letale e fatto fuori in vita quando la sua patria lo espulse. Pasolini brutalmente assassinato dal potere. Walt Whitman che “canta il corpo elettrico” e muore in concomitanza della pubblicazione della sua prima opera di prosa. Alda Merini dieci anni in manicomio con i polsi legati per non farla scrivere e trentacinque elettroshok subiti. Sibilla Aleramo violentata a quindici anni che muore dopo una lunga malattia e tanti amori impossibili. Rimbaud preso a pistolettate da Verlaine e preso dalla gangrena crepando così a trentasette anni. Ungaretti riverso a terra tra corpi di compagni morti nella grande guerra e fulminato poi dalla broncopolmonite. Dylan Thomas tutto alcol e dissolutezza fregato da un edema al cervello. Jack Hirschman finito cinque volte in galera sempre per difendere la libertà di espressione. Bukoswski stroncato da leucemia fulminante dopo una vita di sbronze coi reietti americani. Allen Ginsberg che soccombe per un cancro al fegato e scrive poesie pure fino all’ultimo respiro. Leopardi deforme schiacciato dalla sua stessa sete di vita e continuamente imprigionato nel corpo. Piero Ciampi libero che manda tutti affanculo giocando a scacchi con Carmelo Bene per poi chiudere con un cancro all’esofago senza avere riconosciuta la sua poetica. Sandro Penna chiuso in camera a scrivere senza uscire mai circondato dal suo stesso piscio. Federico Garcia Lorca che lotta contro i fascisti di Franco e viene fucilato. Baudelaire sventrato dall’assenzio e processato per “I fiori del male”. Kerouac che scopre l’America e la fa beat e si sorprende un mattino a vomitare sangue e abbandonare questo mondo con la cirrosi epatica. Rilke in sanatorio con la febbre intestinale. Artaud sfibrato dalle crudeltà che muore solo nel suo pavillon con in mano una scarpa. Montale crollato per vasculopatia dopo averci lasciato quel “ciò che non siamo/ciò che non vogliamo”. Quasimodo ucciso da un ictus “ed è subito sera.” Ezra Pound internato nell’ospedale criminale federale “St. Elizabeths” di Washington che riesce a scrivere:“Quello che veramente ami, non ti sarà strappato.” Umberto Saba vessato dall’assenza del padre e morto dopo essersi sconvolto per la malattia della moglie. Federico Tavan finito in manicomio a dodici anni che pubblica:“Poteva capitare anche a te/ di nascere in un pentolone/ tra rospi e intrugli/ di streghe senza processo/ e il dolore grande di una madre./ Io mi sono trovato a passare/ da quelle parti.” Emily Dickinson che a venticinque anni si estrania dal mondo rinchiudendosi in camera sua illusa che basta la fantasia per vivere e che esce dalla sua camera solo da morta, ed esce insieme a millesettecentosettantacinque poesie che la sorella scopre in un cofanetto. Joseph Rudyard Kipling dichiarato “incapace intellettualmente” dai suoi insegnanti ma che inventa versi immortali e cede all’emorragia cerebrale. Paul Éluard che ha una crisi esistenziale e scompare per sette mesi non dando notizie di sé e facendo perdere le sue tracce e termina la sua vita con un doppio attacco di angina pectoris. Antonio Machado, che lo trova cadavere il fratello, nelle tasche del cappotto, prima di morire aveva messo un foglietto in cui aveva scritto:”Quei giorni azzurri e quel sole dell’infanzia.“ Vladimir Vladimirovič Majakovskij che si spara dritto al cuore. Esenin terrorizzato da allucinazioni causate dalla dipendenza dall’alcol che s’impicca a trent’anni. Amelia Rosselli con la diagnosi di schizofrenia paranoide che perde contro i suoi demoni ammazzandosi. Edgar Allan Poe devastato dall’alcol e dalla desolazione che barcolla in strada ed evoca versi maledetti. Guy de Maupassant vittima di paralisi, amnesie, allucinazioni, che trapassa dopo diciotto mesi in stato di incoscienza. Keats che abita in piazza di spagna e crepa a venticinque anni. Villon che viene condannato a morte e graziato con l’esilio. Rocco Scotellaro, trentenne, stroncato da un infarto.
Vi basta per sapere che cos’è la poesia? Vi basta per sapere che non servono dibattiti, recensioni di critici, intellettuali malati d’ego, fantomatici poetastri che puzzano di biblioteca per sapere cos’è la poesia? E la poesia è un gioco pericoloso da cui un poeta non può sottrarsi. Può però scegliere la maniera di giocare e andare fino in fondo. E la maniera migliore è rischiando la vita. Rischiando tutto per un verso, per un unico, immortale, verso destinato allo splendore, fin là dove nessun altro potrà mai arrivare.
“Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi.”
– Arthur Rimbaud –


Se nelle rotte confuse della mia vita non mi sono ancora perduto del tutto, se in ogni occasione di naufragi sono approdato in isole salvifiche, se da quasi diciassette anni scrivo poesie, se sono cambiato e cambierò, lo devo alle donne. A tutte le donne che ho conosciuto ed amato, a quelle che ho mitizzato ed alle amiche tuttora sorelle di smarrimenti e glorie.  Mi hanno, loro, sempre consegnato le mappe di nuovi mondi, di universi paralleli, di luoghi onirici. Mi hanno, alcune, ferito, terrorizzato, reso insonne, distrutto. Ma è sempre valsa la pena. E tutte le volte che mi sono rialzato, a tendere le mani, c’erano braccia femminili. Con un sorriso. Con un sorriso che lo sguardo non sa tollerare per quanto è spaventosamente ricolmo di tenerezza. Come la bellezza. La bellezza unica di essere donna, di rapportarsi con gli elementi in un connubio spirituale che è si un accidente, ma anche l’idilliaca vicinanza col tutto; con l’esistenza e con il mistero. Infatti la donna custodisce scrigni. Ogni cosa si svolge in modo arcano nella femmina. Nelle sue viscere e nella sua anima. In lei tutto è illuminato. Si fa copione divino, percorso di cosmo, atomi di splendore, alberi che allungano i rami per tirarsi giù il cielo. E come si può sopportare che queste creature vengano imprigionate dentro le tradizioni, picchiate, stuprate, obbligate a sottomettersi, a prostituirsi. E come si fa a non sentire le bombe che negli anni sono cadute in testa nelle loro abitazioni di fango o cemento, a non sentire tutte le grida disperate di donne abbandonate, rimaste senza figli o marito per colpa delle guerre. E come non travolgersi al pensiero di ragazze infibulate e lapidate, smembrate a colpi di machete. A quelle umiliate troppo spesso dentro le quattro mura di casa invece di essere protette. A quelle che furono torturate e bruciate durante la santa inquisizione, alle schiave per i bianchi, alle donne incinte squarciate dalle baionette dei regimi, annientate da patriarcati infami. E come non piangere le vittime di stalking, le donne a cui è negata l’istruzione o il diritto di voto.
Amo la donna perché è sopravvissuta. Perché ha dovuto imparare a mentire, ma quando il vento la ammantella, si sposta un po’ i capelli e pare la Verità. Amo la donna per il suo corpo intriso di celestiale, che si perde con la luna aprendo il cuore all’universo. Che sublima la nostra colpa di vivere e gira sembrando un miraggio. Amo la donna perché so di Frida Khalo che patisce trentadue interventi chirurgici e che non si piega a nessuna convenzione sociale dell’epoca. Perché so di Jeanne Hébuterne che, incinta, e poche ore dopo dalla morte del compagno che amava, Modigliani, si getta dal sesto piano. Perché so di Rosa Parks che, negli Usa, rifiuta, in piena segregazione razziale, di lasciare il posto a sedere, nel bus, ad un bianco. Amo la donna perché so della visionarietà poetica di Patty Smith.
Ed amo la donna perché adoro il suo corpo che sbocca sangue e custodisce vita, che avanza portando cornucopie di sogni per confonderci d’infinitudine. Amo quel suo “corpo elettrico” che respira all’unisono con madre natura invidiosa. Che perfeziona l’esistenza e scuote temporali, che si fa obbedire da mari ed arcobaleni e libera Eros. Amo la donna perché è ricolma di affastellati avvilimenti, di distanze ingestite, di velate provocazioni e pudicizie improvvise. Perché ha ali spezzate e sa comunque librarsi in volo, perché intrattiene grovigli di lontananze e beatitudini, ha soprassalti di strazi e ricordi non sopiti, ha perdizioni e coriandoli di mito. Perché si scuote di ansie e segreti sotto le tempie e tutto si compie dentro lei: nelle viscere, nel mistero. In simbiosi assoluta con la Bellezza ed il suo occulto. Perché la donna canta la bellezza e l’occulto.
“La donna è qualcosa d’ardente e di triste, qualcosa un po’ vago, che lascia corso alla congettura. Andrò ad applicare, se si vuole, le mie idee a un oggetto sensibile, all’oggetto, per esempio, il più interessante nella società, a un viso di donna. Una testa seducente e bella, una testa di femmina, voglio dire, è una testa che fa sognare in una volta, – ma in maniera confusa, – di voluttà e di tristezza; che presuppone un’idea di malinconia, di fiacchezza, persino di sazietà, – ma pure un’idea contraria, ossia un ardore, un desiderio di vivere, associato a un’amarezza rifluente, come provenisse da una privazione o da una disperazione. Il mistero, il rimpianto sono ugualmente caratteri del Bello.” (Baudelaire)

sabato 8 agosto 2015

Gli ignoranti

 

Cosa succede quando si dedica la propria vita a uno scopo? Étienne Davodeau è un autore francese di fumetti, molti dei quali dedicati a come sta cambiando il lavoro e come questo influisce nella vita delle persone. Richard Leroy è un vignaiolo che conduce i pochi ettari della sua vigna con metodi biodinamici. Étienne vuole capire la passione che sostiene il lavoro dell’amico, così forte da spingerlo a cambiare vita per dedicarsi solo al suo vino: senza cedere a una facile produzione industriale, ma perseguendo invece un ideale di qualità con una produzione molto limitata di bottiglie l’anno. Richard entra così nella cantina di creatività di Étienne, dove ogni libro è una scommessa con i lettori e gli editori perché lavorato come un pezzo unico: sempre diverso dai libri precedenti nei personaggi, nell’ambientazione e nella realizzazione grafica, ma sempre riconoscibile nel suo stile, nei testi come nei disegni.
Tra degustazioni di vini e letture di fumetti, incontri con produttori biodinamici e autori di fumetti, entrambi scopriranno che i loro lavori hanno a che fare con quell’indefinibile che ci rende “esseri umani”.
Raccontato in presa diretta, quasi si svolgesse mentre lo si legge, Gli ignoranti è il diario di una reciproca educazione attraverso un’etica del fare che si trasmette attraverso il piacere di un bicchiere di vino o la lettura di una storia ben scritta e disegnata. In appendice tre testi di Sandro Sangiorgi e Sergio Rossi sulla viticoltura biodinamica, il mercato del fumetto francese e il making di questo volume.


Autore: Étienne Davodeau
Data Pubblicazione: 2015
Pagine: 288
Editore: Porthos Edizioni
Lingua: Italian

domenica 7 giugno 2015

Thomas Mann

Come diventare scrittori? Se lo chiedessimo a Thomas Mann, ci risponderebbe con il consueto garbo ed esattezza, cercando di trovare le parole che possano descrivere al meglio l’alchimia delle sue creazioni. Ci direbbe che lo scrittore “findet und nicht erfindet”, ossia “trova e non inventa[1]. L’ispirazione non è un segnale divino che tocca l’artista come un’epifania, ma lo scrittore è un attento osservatore e null’altro. Tutto ciò di cui ha bisogno è già dato, esiste intorno a lui, l’abilità è nel distillare il giusto composto.
Critici letterari, editor, agenti, scuole di scrittura, tutti son pronti a srotolare decaloghi di regole da rispettare per essere pubblicati e acquistati. Leggere, certo, è importante per ogni autore che si rispetti, conoscere la grammatica non sarebbe cosa sgradita, scrivere di temi attuali e ampiamente conosciuti potrebbe giovare. Usare una lingua semplice senza che sia banale, innovare e sorprendere senza doverlo fare a tutti i costi. Lasciar sedimentare una pagina scritta per un po’ per poi rileggerla a voce alta e scoprire così quanto ancora debba essere rilavorata. E potrei continuare per decine di righe.
Molti sono consigli giusti, attenzione a confondere l’essere scrittori con il venir pubblicati, acquistati e letti. Questo errore Thomas Mann ha cercato di non farlo, per principio (e allora seguire i propri principi non era segno di stupidità), sebbene come ogni scrittore ha dovuto cedere a qualche compromesso per offrire alla sua opera l’opportunità di essere letta. La casa editrice Il Saggiatore ha ripubblicato a dicembre la raccolta epistolare che ha unito, per un trentennio, uno dei più grandi romanzieri del Novecento (Thomas Mann) con la sua traduttrice italiana per eccellenza (Lavinia Mazzucchetti).
La raccolta ristampata con il titolo assai suggestivo La gioia maiuscola di essere scrittori ripresenta al lettore il fitto scambio (allora d’obbligo per entrare davvero in un testo) fra scrittore e traduttore per confrontarsi non solo sui risultati della traduzione in questione o sull’accoglienza della stessa da parte dei lettori, ma anche sul contesto socio-economico, politico e culturale in cui l’opera era nata. Confronto che poi si è allargato anche ad alcuni editori e intellettuali dell’Italia della prima metà del Novecento (come Arnoldo e Alberto Mondadori, Enzo Paci, Emilio Cecchi e Ranuccio Bianchi Bandinelli). Perché se è vero che ogni scrittore ha come aspirazione veder pubblicata una sua opera, ciò non deve avvenire a tutti i costi e con ogni mezzo. Leggendo le lettere di Mann scopriamo che spesso è la “sua” traduttrice a insistere per la pubblicazione di un’opera in Italia, laddove era l’autore a ritenerla non adatta o non facilmente comprensibile per il lettore perché nata in un contesto socio-politico (la Germania degli anni Trenta e Quaranta) diverso da quello italico. Perché prioritario per Thomas Mann era la massima fruizione del suo pensiero e non della sua immagine, della sua vita privata o del numero di autografi che avrebbe potuto firmare se fosse venuto a presentare il suo libro in Italia.

giovedì 28 maggio 2015

 

 

Clausola

Tanto per non finire:
la morte, già così allegra a viverla,
ora la dovrei morire?

(Non me la sento, d'ucciderla)
Giorgio Caproni
 
 
 
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-36733?f=a:372

Furto

Hanno rubato Dio.

Il cielo è vuoto.

Il ladro non è ancora stato
(non lo sarà mai) arrestato.
Giorgio Caproni
 
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-35746?f=a:3729>9>

domenica 24 maggio 2015

"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti e io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me e non c'era rimasto nessuno a protestare." 
(B. Brecht)

Frammenti di vita: un dialogo


“Ti vedo annoiato”
“Cosa vuoi? E’ la vita..”
“La vita?”
“Sì, la vita. Sai.. quel fluire monotono di attimi, quel perdersi del presente nel logoro album del passato?”
“So cos’è”
“Cosa?”
“La vita”
“Ah, sai cos’è.. E allora perchè me lo domandi?”
“Non capisco.. Dici di essere annoiato. E la vita, cosa c’entra?”
“E’ il problema”
“La vita?”
“Sì, la vita! Quante volte devo ripeterlo?”
“Ah, mi dispiace”
“Anche a me. Che vuoi farci? E’ la nostra condanna”
“La vita?”
“No. Pensarci”
“Pensarci?”
“Sì, il pensiero”
“Ah, cioè?”
“Ma sì, sai quel lento migrar d’immagini e parole..”
“Il pensiero?”
“Esattamente”
“Perchè dici la nostra condanna?”
“Beato l’ottuso animale che non prova dolore”
“Come?”
“Baudelaire”
“Il poeta?”
“Il poeta”
“Il pensiero porta infelicità?”
“No, ma allontana dalla felicità”


 https://jeanrousseau.wordpress.com/tag/baudelaire/

domenica 1 marzo 2015


Il 28-29 marzo torna per il terzo anno consecutivo a Cesena la “Fiera del libro della Romagna” con un’importante novità: la manifestazione si terrà alla Biblioteca Malatestiana. Al piano terra, nella sala subito dopo l’ingresso, saranno presenti gli stand degli editori (25, sia romagnoli sia provenienti da tutta Italia). Al piano superiore nell’Aula magna e in un’altra sala si terranno gli incontri e le presentazioni. Tante i libri e gli autori presentati a partire dal nuovo libro dell’ex sindaco Giordano Conti, da un testo del poeta Stefano Simoncelli, passando per un libro del commissario di Faenza Silvia Gentilini e da “Emilia Romagna segreta” a cura dell’ex direttore della Voce Stefano Andrini.
La Fiera del libro della Romagna, che durante la scorsa edizione ha totalizzato circa 5000 visitatori, nasce con l’obiettivo di promuovere le pubblicazioni di editori indipendenti di qualità e di favorire il confronto tra i cittadini e gli operatori del settore editoriale (autori, scrittori, giornalisti, editori).

domenica 11 gennaio 2015

  Addio libro stampato: uno scatto per non dimenticare


 Addio libro stampato: uno scatto per non dimenticare



Ha scattato una foto ogni volta che ha visto qualcuno leggere un libro sulla metropolitana di New York. Reinier Gerritsen pensa che i libri non dureranno a lungo, ecco perché sono ovunque in questa mostra fotografica dal titolo "The last book", in programmazione a New York alla Julie Saul Gallery fino al 7 febbraio. Il fotografo olandese ha immortalato quella che lui considera una specie in via di estinzione: persone che leggono un libro stampato in un mondo popolato di iPhone e Kindle. Lo ha fatto scattando immagini tra un viaggio e l'altro nella metrò dalle 8 alle 19 per 13 settimane nell'arco di tre anni, senza chiedere il permesso eppure incontrando una grande amabilità da parte dei soggetti. "La vita è così. Ogni cosa è in continuo cambiamento, ma c'è un bellissimo fenomeno che sta morendo. Ecco perché ho voluto documentarlo", ha detto Gerritsen

Foto da Julie Saul Gallery 



http://www.repubblica.it/esteri/2015/01/10/foto/gente_che_legge_nella_metropolitana_uno_scatto_per_non_dimenticare-104692523/1/?ref=HRESS-6#6