martedì 26 novembre 2013

RECENSIONE

 Recensione: STUDIO 83

UNA NUOVA VITA
Milos Fabbri
Arduino Sacco Editore, Roma 2013


“Una nuova vita” è un’antologia di racconti brevi, istantanee ambientate in città e
contesti quotidiani della realtà italiana. I protagonisti sono coppie in crisi, anziani
depressi, mariti traditori: in generale, un’analisi di situazioni apparentemente normali, che nascondono però realtà borderline, fatte di abbandono, abbrutimento, anche crimine. Da un lato non sono temi nuovi, anzi, sono piuttosto abusati, soprattutto nella forma-racconto; dall’altro lato traspare una ricerca
contenutistica da parte dell’autore, che cerca di metterci del proprio, trovare una sua
originalità e in generale un significato nelle istantanee che ritrae.
Il risultato è al momento ancora immaturo: il senso non è sempre chiaro, come non
sono chiari i sottotesti e i significati. Di norma, in opere di questo tipo, soprattutto se
di autori esordienti, si trova un forte compiacimento verso le situazioni borderline che
si descrivono: in questo caso traspare più una rassegnazione. I racconti difettano di una vera e propria struttura nella quale ogni elemento trova il suo senso e la sua funzione.

lunedì 25 novembre 2013

GUARDIA DI CONFINE





Da Una nuova vita di Milos Fabbri.

   Esiste un punto, o un momento, o un luogo, non fa nessuna differenza il nome, dove tutto si acquieta; dove il respiro affannato del moribondo, o del bimbo è solo il respiro prima del sonno. Esiste un'ora in cui anche io finalmente, trovo riposo, ma non è un momento di pace, come si potrebbe credere; è più un momento in cui chi si espone trova il vero pericolo, trova il vero nemico che è pronto a farglielo affrontare.

Si erano fatte le due di notte, era l'ora del cambio, non c'erano nuvole in cielo e questa era finalmente una bella novità, ma faceva ancora più freddo del solito. Mi alzai il bavero della giacca e mi soffiai un po' di aria calda nelle mani. Era da qualche tempo che avevo pensieri confusi, mi sorgevano nella mente domande a cui non riuscivo a dare risposte. Certo essere un soldato non era stata una scelta, ma un obbligo del regime; io avrei voluto un altro tipo di vita.
Il mio compagno mi seguiva silenzioso, era raro che parlassimo fra noi; era raro che qualsiasi guardia si scambiasse una qualche battuta, tutti dubitavamo del proprio appaiato, poteva essere una spia, un infiltrato e non avrebbe esitato a denunciarci nel caso avesse scoperto un nostro desiderio di fuga. Appena dentro la torre di guardia appoggiai il mio Kalashnikov all'angolo del muro, giusto il tempo di mettere a bollire un pentolino con dell'acqua. Non potevamo portare cibo, ma una tisana era concessa.
Fra quattro giorni avrei compiuto ventitré anni e mentre fissavo le case dall'altra parte del muro, le luci al neon di qualche locale che si intravedeva lungo le vie, mi chiedevo perché a me non fosse concesso tutto quello. Perché me ne dovevo stare qui al freddo, a controllare che nessuno oltrepassasse quel muro che io per primo avrei voluto scavalcare? “Sparate a vista e per uccidere” era l'ordine impartito dai capiposto, ma non era per nulla facile.

domenica 24 novembre 2013

HOTEL INCANTO


BERGONZONI

Ieri sera sono stato a Roma, a piovuto tutto il giorno. Mentre aspettavo l'inizio dello spettacolo, al teatro Vittoria, mi sono fatto un giro, sono entrato in una libreria non lontana dal teatro.
Indovinate un po': c'era Alessandro Bergonzoni che presentava il suo ultimo libro, L'amorte. L'ho ascoltato e poi mi sono comprato il libro. Un libro di poesie. Sono andato da lui per farmelo firmare e la dedica è stata decisamente bella: A Milos l'unico Milos della mia vita. Bella no.
Poi è arrivata l'ora e mi sono goduto lo spettacolo. Penso che Bergonzoni sia un artista eccezzionale.

mercoledì 13 novembre 2013

MILAN KUNDERA

Alessandro Piperno sul Corriere della Sera (30 ottobre 2013) scrive:

«Che cos'è la Festa dell'insignificanza?
Un divertissement surrealista, una parabola felliniana, in cui si alternano
personaggi alle prese con elucubrazioni stravaganti. Ciarlieri, peripatetici,
brilli, un po' vanesi, talvolta fin troppo astratti ma chi se ne importa.
Ogni tano alludono a un loro inventore che immagino sia Kundera stesso. E, in
effetti, Kundera li tratta come marionette. Li sfotte e li 


comprende. Ad essi
affida i suoi classici motivi: dall'involontaria comicità dei dittatori
comunisti alla futilità di ogni esperienza umana.»

E lo stile?
Scrive ancora Piperno:
«Kundera è rimasto Kundera: lo stile sobriamente paratattico, il tono dimesso, l'andamento svagato e rapsodico.»


 Avevo diciott'anni quando lessi il mio primo libro di Kundera. L'insostenibile leggerezza dell'essere: non ci capii nulla. Ma, per una strana forma di masochismo, continuai a leggere i suoi libri. Ad oggi li ho letti tutti, e amo questo scrittore.
Fu il terzo libro che presi in mano, se non ricordo male era lo scherzo, che mi diede la chiave di lettura per tutti gli altri libri. Per cui domani andrò a comprarmi il suo ultimo libro.